Triste, preoccupata, impaurita e anche arrabbiata. La fotografia scattata dall’annuale rapporto del Censis fissa l’immagine di un Paese piuttosto ripiegato su se stesso, ma anche desideroso di rialzare la testa e di scrollarsi di dosso l’aura di pessimismo che, soprattutto a partire dal 2020, permea la nostra quotidianeità. “Alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo – si legge – si aggiungono adesso gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica”. Che si traduce in una “paura straniante di essere esposti a rischi globali incontrollabili: da questo quadro profondamente mutato emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità”.
Qualche dato numerico consente di inquadrare meglio la situazione: la quasi totalità degli italiani (92,7%) è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l’inflazione. “Cresce perciò – continua il Censis – la ripulsa verso privilegi oggi ritenuti odiosi, con effetti divisivi: per l’87,8% sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, per l’86,6% le buonuscite milionarie dei manager, per l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web, per l’81,5% i facili guadagni degli influencer, per il 78,7% gli sprechi per le feste delle celebrities, per il 73,5% l’uso dei jet privati”.
Il rischio è che si possano manifestare conflitti anche violenti e invece la reazione è quasi rassegnata e si manifesta con il progressivo allontanamento dalla vita pubblica: “una ritrazione silenziosa” da parte dei cittadini. Alle ultime elezioni il primo partito è stato quello dei non votanti (composto da astenuti, schede bianche e nulle): quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto, non ha voluto esprimersi e in 12 province i non votanti hanno superato il 50%.
“Nell’immaginario collettivo – si sottolinea – si è sedimentata la convinzione che tutto può accadere, anche l’indicibile: il lockdown, il taglio di consumi essenziali (dall’energia al carrello della spesa alimentare), la guerra di trincea o l’uso della bomba atomica”. L’84,5% degli italiani è convinto che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare improvvisamente e radicalmente la propria quotidianità e stravolgere i propri destini. Il 61,1% teme che possa scoppiare un conflitto mondiale, il 58,8% che si ricorra all’arma nucleare, il 57,7% che l’Italia entri in guerra. Oggi il 66,5% degli italiani (10 punti percentuali in più rispetto al 2019 pre-Covid) si sente insicuro. I principali rischi globali percepiti sono per il 46,2% la guerra, per il 45,0% la crisi economica, per il 37,7% virus letali e nuove minacce biologiche alla salute, per il 26,6% l’instabilità dei mercati internazionali (scarsità delle materie prime e boom dei prezzi dell’energia), per il 24,5% gli eventi atmosferici catastrofici (temperature torride e precipitazioni intense).
Complessivamente, 8 italiani su 10 affermano di non avere voglia di fare sacrifici per cambiare; l’89,7% dichiara che, pensando alla sequenza di pandemia, guerra e crisi ambientale, prova tristezza, e il 54,1% ha la forte tentazione di restare passivo. In sintesi, è la malinconia a definire oggi il nostro carattere, condita da un diffuso senso di insicurezza e dalla crescente percezione di rischi pronti a stroncare i ritmi della nostra vita. Al vertice delle insicurezze personali c’è il rischio di non autosufficienza e invalidità (53,0% ), il 51,7% teme di rimanere vittima di reati, il 47,7% non è sicuro di poter contare su redditi sufficienti in vecchiaia, il 47,6% ha paura di perdere il lavoro e quindi di andare incontro a difficoltà economiche, il 43,3% teme di incorrere in incidenti o infortuni sul lavoro, il 42,1% di dover pagare di tasca propria prestazioni sanitarie impreviste.
C’è un altro dato assai preoccupante. Negli ultimi cinque anni gli alunni delle scuole sono diminuiti da 8,6 milioni a 8,2 milioni: -4,7% (403.356 in meno). L’onda negativa della dinamica demografica è particolarmente evidente nella scuola dell’infanzia (-11,5% nei cinque anni) e nella scuola primaria (-8,3%). Già tra dieci anni la popolazione fra i 3 e i 18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni, e nel 2042 potrebbe ridursi a 6,8 milioni (1,7 milioni in meno rispetto al 2022). Lo tsunami demografico investirà prima la scuola primaria e la secondaria di primo grado, con un decremento, rispetto a oggi, di quasi 900.000 persone di 6-13 anni nel 2032, per arrivare nel decennio successivo a colpire duramente la scuola secondaria di secondo grado: 726.000 ragazzi di 14-18 anni in meno rispetto al 2022. Tra vent’anni, nel 2042, la popolazione 19-24enne avrà subito un calo di quasi 760.000 persone rispetto a oggi. Con ovvie e gravi conseguenze sulle iscrizioni all’università.
A causa del caro-bollette, si stima che 355.000 aziende (l’8,1% di quelle attive) potrebbero subire un grave squilibrio tra costi e ricavi. La gran parte (l’86,6%) si colloca nel terziario, una parte minore (il 13,6%) nel settore industriale. Le criticità interessano 3,3 milioni di addetti (il 19,2% del totale), di cui il 74,5% nel settore dei servizi (2,5 milioni di addetti) e il 25,5% nell’industria (850.000 addetti). Tra il 2012 e il 2020 le imprese attive si sono ridotte di 15.000 unità. Ancor più grave il calo nella Pubblica amministrazione: l’occupazione nel settore si è infatti ridotta negli ultimi vent’anni di quasi 260.000 lavoratori. La PA ha dunque dovuto far fronte alle esigenze di cittadini e imprese con minori forze e di conseguenza offrendo servizi meno validi. I principali motivi che causano il cattivo funzionamento della Pa, secondo i cittadini insoddisfatti, sono l’eccesso di burocrazia (31,4%), la scarsa motivazione del personale (29,2%), la cattiva organizzazione (17,5%) e l’interferenza della politica nelle nomine dei dirigenti (12,9%).
Tanti, quindi, gli aspetti negativi e le storture da correggere, ma c’è anche la voglia non ancora compiutamente manifesta di non mollare, di andare avanti, di rischiare per realizzare i propri sogni. E’ il messaggio, oltre che l’augurio, che dobbiamo consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti. Segnali incoraggianti ce ne sono tanti: per il prossimo ponte dell’Immacolata, ad esempio, si prevede che saranno circa 8 milioni gli italiani che si sposteranno. Nonostante tutto, c’è fiducia: non sprechiamola.
Buona domenica.
Lascia un commento