MILANO – Della scienziata Cecilia Payne si è sentito poco parlare eppure le sue teorie e i suoi studi di astrofisica sono stati molto importanti. Isaac Newton ha scoperto la gravità, Charles Darwin ha spiegato l’evoluzione della specie, Albert Einstein ha scoperto la relatività del tempo. Tutti grandi uomini, illuminati e tenaci che con le loro scoperte hanno permesso lo sviluppo tecnologico oltre che quello umano. Resta qualche domanda: di cosa è fatto l’universo e qual è la sua composizione? Le risposte si devono ad una donna di cui non si sente mai parlare, Cecilia Payne, un’astrofisica anglo-statunitense morta nel 1979 e ricordata con una targa affissa all’università dove insegnava.
Il suo merito fu quello di essere stata la prima a teorizzare che le stelle fossero composte essenzialmente di idrogeno ed elio, contraddicendo le teorie dell’epoca. Nel 1919 entrò all’Università di Cambridge (Regno Unito) per studiare botanica, fisica e chimica perché allora per le donne non era previsto il riconoscimento della laurea in ambito scientifico. A cambiare l’indirizzo dei suoi studi fu una conferenza di un’importante astrofisico britannico, Arthur Eddington, sulle eclissi solari. In quell’occasione Cecilia Payne capì di essere talmente affascinata dall’astronomia da sentirsi in dovere di dedicarle tutta la sua vita professionale. Questa scelta però la portò a scontrarsi con le difficoltà legate alla differenza di genere.
In quell’epoca per una donna non era possibile conseguire un dottorato in Inghilterra. Decise cosi di cercare maggiori opportunità negli USA, in Massachusetts, al Radcliffe College, una scuola privata di arti liberali, con stretti legami con l’Università di Harvard. Payne fece domanda presso l’Harvard College Observatory negli USA e nel 1925 fu la prima persona a ottenere un dottorato in astronomia ad Harvard e nel 1956 fu la prima donna a essere nominata capo del dipartimento di astronomia dello stesso ateneo. Fu figura di spicco nello studio della luminosità delle stelle variabili, cioè stelle che cambiano di luminosità, e della struttura della Via Lattea. Perfezionando l’analisi fotografica della luce delle stelle, è riuscita a sviluppare tecniche di ricerca sulle atmosfere stellari che poi sono state di grande aiuto agli astronomi per capire quale fosse la composizione delle stelle.
I suoi studi sulle stelle variabili e sulla struttura della Via Lattea la portarono a mettere in discussione le conoscenze della comunità scientifica sulla composizione delle stelle spiegando le sue teorie nella sua tesi di dottorato, intitolata Stellar Atmospheres. Grazie a questi studi arrivò alla conclusione che il componente principale del Sole e delle altre stelle non è il ferro, ma l’idrogeno, che assieme all’elio costituisce oltre il 98% della massa stellare. La comunità scientifica del tempo pensava che le stelle fossero composte principalmente dagli stessi metalli che si trovano sul nostro pianeta, in particolare il ferro. Perciò le scoperte della Payne sulla composizione delle stelle per lungo tempo furono ignorate dagli altri astrofisici.
Accadde che qualche anno dopo la sua scoperta, Henry Norris Russell arrivasse alle stesse conclusioni della scienziata e così nella sua ricerca fece anche il suo nome non rionoscendole però la paternità della scoperta. Per molto tempo solo Russell fu così riconosciuto come unico autore della scoperta e la Payne fino al 1937 non ebbe alcun titolo ufficiale. Nonostante questo la scienziata pur guadagnando meno dei colleghi maschi continuò il suo lavoro con determinazione come ricercatrice presso l’Harvard College Observatory e poi come assistente di Harlow Shapley.
Concludendo si può dire che la sua sia stata una vita di sacrifici e di silenzioso talento, con riconoscimenti tardivi ma significativi per il valore della scoperta e per l’affermazione di un talento scientifico tutto al femminile.
Margherita Bonfilio
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