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C’è una… Rondine che combatte per la pace

di | 2018-12-16T11:04:29+01:00 16-12-2018 6:20|Attualità, Sezione 5|0 Commenti

RONDINE (Arezzo) – “Tu mi vedi come un nemico?”. Domanda diretta e certamente non facile da eludere. L’ha rivolta Dasha, studentessa di nazionalità abcasa (Abcasia territorio caucasico) a Gaga, studente georgiano di 25 anni. Si sono conosciuti a Rondine, piccolo borgo in provincia di Arezzo, nella Cittadella della pace, un laboratorio a ciclo aperto dove da 20 anni si sperimentano tentativi di riconciliazione civile, promozione del dialogo, di “diplomazia dal basso” e di trasformazione creativa dei conflitti nei diversi contesti.

 

E cosi come è successo a Dasha e Gaga, a Rondine si sono anche incontrate Christine (23 anni), palestinese di Betlemme e Gal (27 anni), israeliana di Tel Aviv che, grazie agli insegnamenti ricevuti, hanno imparato a dialogare dei propri conflitti. Ed è sempre nella stessa  Cittadella che, a poco a poco,  studenti russi sono riusciti a convivere con studenti ceceni; e lo stesso hanno fatto o stanno facendo altri giovani provenienti da Stati in cui la conflittualità con l’etnia o il Paese accanto è purtroppo una costante di vita.

Da un anno Dasha e Gaga, Christine e Gal vivono e studiano insieme ad un’altra ventina di giovani “nemici” a Rondine, piccola e ridente frazione alle porte di Arezzo. Sono tutti ragazzi già laureati approdati nella Cittadella della pace per confrontarsi, discutere ed aprire i propri orizzonti ma soprattutto per realizzare un sogno: essere edificatori di pace nei propri paesi abbattendo muri e barriere e costruendo ponti culturali. L’associazione nasce da un’intuizione  di Franco Vaccari, professore e psicologo conosciuto a livello internazionale per la sua opera di mediazione del conflitto, ed è considerata come un laboratorio di educazione alla pace ed è un posto dove i “nemici” possono incontrarsi e conoscersi al di là delle barriere e delle nazionalità.

 

In questo “magico” luogo si insegna a parlare e a non fuggire dai conflitti. “Il nostro – spiega il direttore generale di Rondine, Ida Linzalone – è un metodo per la trasformazione del conflitto, una pedagogia del dialogo, un percorso per far capire che forse il nemico non è mai esistito”.  “A Rondine – aggiunge la coordinatrice kosovara Manuella Markaj  – impariamo a lavorare per tutti i conflitti, laddove c’è bisogno, cercando sempre di ottenere una soluzione da chi vive e subisce la guerra. I nostri progetti si realizzano coinvolgendo tutte le parti in lotta”. In Sierra Leone, tanto per citare un esempio, lo scorso marzo si è votato per le presidenziali e Rondine si è attivata con il progetto “Initiative for democratic and peaceful election” coinvolgendo 369 leader locali, politici, religiosi, giovani, giornalisti, studenti e società civile. Giovani professionisti hanno partecipato ad incontri pubblici nelle comunità e a tavole rotonde nelle principali università del Paese.

 

È stata la vittoria della “politica dei piccoli passi” che nasce dalla scelta di parlare del conflitto e di non fuggire dallo stesso, proprio come fanno a Rondine tutti i giovani di nazionalità diverse provenienti da luoghi ad alto tasso di conflittualità che decidono di frequentare la Cittadella per cercare di diventare strumenti di pace nei loro Paesi. Giovani che si preparano a realizzare un progetto ambizioso, sconfiggere la guerra per edificare la pace.

 

In occasione del ventesimo anniversario della sua fondazione, l’associazione Rondine- Cittadella per la pace si è fatta conoscere in due circostanze significative: la prima a Roma in occasione dell’udienza concessa da Papa Francesco il 3 dicembre scorso e la seconda all’ONU a New York il 10 dicembre scorso in occasione del settantesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo. Grande opportunità per Franco Vaccari, presidente e fondatore dell’associazione, che prima della partenza ha dichiarato: “Abbiamo invitato a venire con noi duecento Rondini d’oro ovvero i ragazzi-nemici che da ogni parte del mondo hanno partecipato ai nostri corsi formativi”.
All’udienza da Papa Francesco invece erano presenti 350 ragazzi  della Cittadella della pace; il Pontefice ha  garantito loro tutto il suo appoggio per l’appello di pace che gli stessi porteranno all’ONU in occasione dell’anniversario della Dichiarazione dei diritti umani, e ha detto anche ai numerosi giovani intervenuti all’incontro che appartiene ad ogni cittadino la responsabilità politica al servizio della pace e, in particolar modo, di chi ha avuto il mandato di governare e che tale missione consiste, soprattutto, nell’incoraggiare sempre e comunque il dialogo a tutti i livelli.

 

Il 10 dicembre scorso, a New York, presso il Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite, di fronte ai rappresentanti dei 193 Stati membri il presidente di Rondine ha illustrato il modello di trasformazione dei conflitti adottato dall’associazione ed ha lanciato un appello scritto dai giovani della Cittadella, affinché le Nazioni Unite provvedano alla formazione di nuovi leader globali di pace; in tale contesto è stato chiesto di estendere a tutti gli Stati l’insegnamento e l’educazione ai diritti umani e di donare borse di studio per la formazione di leader di pace.
Certo il progetto è ambizioso e probabilmente di non facile attuazione ma la speranza è che l’Onu prenda a cuore questa causa. Sostenere e preparare giovani  leader a questo compito significherebbe fare un serio investimento per il futuro dell’umanità. Saper gestire le conflittualità è un insegnamento che farebbe bene a tutti ma soprattutto, in questo momento di grandi conflitti etnici e sociali, sarebbe più che mai utile a chi è insignito del gravoso compito di governare il proprio Paese e di gestire le relazioni politiche con gli altri Stati.

 

Poter contare, in un prossimo futuro, su leader capaci di gestire le conflittualità, di operare nel rispetto dei diritti umani e disposti ad edificare la pace sarebbe non solo la realizzazione di un progetto a cui la maggior parte del genere umano ambisce ma  rappresenterebbe anche un atto dovuto nei confronti di coloro che hanno subito o subiscono le indicibili sofferenze causate da guerre o conflitti etnici e religiosi.

 

Le lacrime di Nadia Murad e il suo legittimo desiderio di giustizia non devono restare lettera morta. Lei è un’attivista yazida irachena, mentre Denis Mukwewge è congolese: entrambi sono stati insigniti  a Oslo, il 10 dicembre scorso, del premio Nobel per la pace 2018, premiazione avvenuta lo stesso giorno in cui l’associazione Rondine ha presentato il suo appello di pace all’ONU.  Entrambi gli eventi, finalizzati con modalità diverse alla edificazione della pace, sono stati celebrati, non a caso, nella giornata della ricorrenza del settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

 

Nadia, 25 anni, è sopravvissuta ad atroci violenze di carattere sessuale ed è diventata il simbolo delle sofferenze inflitte dall’Isis alla sua comunità, gli yazidi. Denis Mukwegw, 63 anni, congolese, medico ginecologo, ha dedicato la sua vita a curare le donne vittime di violenze sessuali. Due persone diverse per esperienze, età e nazionalità ma accomunate fra loro, secondo quanto spiegato dalla motivazione del premio, dagli “sforzi per porre fine alla violenza sessuale come arma di guerra e di conflitto armato”.

 

Lavorare per sconfiggere la guerra ed edificare la pace è certamente difficile ma non impossibile anzi dovrebbe essere il principio ispiratore di tutti i governanti ma questa è solo utopia perché purtroppo la realtà è molto diversa per colpa dei troppi interessi economici in gioco eppure non è difficile comprendere che la pace rimane l’unica strada percorribile  se si vuole progredire nel cammino del genere umano.

 

Silvia Fornari

 

Nella foro di copertina, i premi Nobel 2018  per la pace Denis Mukwegw e Nadia Murad

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