PALERMO – I volontari palermitani che da tempo si sono presi l’impegno di tenere pulite due grandi aiuole vicine a una fermata di autobus forse lo avranno già intuito: mantenere in ordine gli ambienti urbani, oltre a creare bellezza, contribuisce a istaurare un clima di civiltà. A teorizzare una correlazione tra cura ambientale, rispetto delle regole e situazione di legalità, con riduzione di atti criminali, sono stati i due studiosi statunitensi James Q. Wilson e George L. Kelling che, nel marzo 1982, pubblicarono nel mensile The Atlantic un articolo dal titolo “Broken Windows” (Le finestre rotte). In tale studio, i due affermavano che il degrado urbano contribuisce a creare un clima di illegalità, inducendo le persone a commettere più reati.
Le conclusioni degli studiosi trassero spunto da un esperimento di psicologia sociale compiuto nel 1969 dal professor Philip Zimbardo, dell’Università di Stanford. In tale esperimento furono abbandonate in strada due automobili identiche (stessa marca, modello e colore): una nel Bronx, zona povera e conflittuale di New York, l’altra a Palo Alto, città ricca e tranquilla della California. Un gruppo di specialisti in psicologia sociale fu incaricato di osservare il comportamento delle persone nei due luoghi.
Accadde che l’automobile abbandonata nel Bronx cominciò ad essere smantellata in poche ore, perdendo ruote, motore, specchi, radio, e così via; tutti i materiali che potevano essere utilizzati vennero rubati e quelli non utilizzabili vennero distrutti. Al contrario, l’automobile abbandonata a Palo Alto rimase intatta. A primo acchito, sarebbe stato logico attribuire le cause del crimine alla povertà esistente nel Bronx.
Ma poi l’esperimento in questione fu proseguito: dopo la settimana durante la quale la vettura abbandonata nel Bronx era stata demolita, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto, auto che al momento era rimasta intatta. Fu così che, nel giro di qualche giorno, i ricercatori assistettero alla stessa dinamica di vandalismo che avevano registrato nel Bronx: furto e atti vandalici ridussero il veicolo lasciato a Palo Alto nelle stesse condizioni di quello abbandonato nel distretto malfamato di New York.
Nel 2007 e nel 2008, questa tipologia di studio sociale fu ripresa da un gruppo di studiosi nell’Università olandese di Groninga, dove furono condotti una serie di esperimenti controllati per determinare se l’effetto del disordine ambientale esistente (come la presenza di rifiuti o l’imbrattamento dei muti) avesse come eventuale effetto correlato l’aumento dell’incidenza di criminalità aggiuntive come il furto o altri comportamenti antisociali.
Gli scienziati scelsero diversi luoghi urbani trasformati in modo diverso in due tempi successivi. In una prima fase (la fase cosiddetta di ‘controllo’, nell’ipotesi sperimentale) il luogo fu mantenuto ordinato, libero da graffiti, finestre rotte, immondizia, ecc. Nella seconda fase (la fase dell’esperimento), il medesimo ambiente fu trasformato in modo che apparisse in preda all’incuria e privo di controllo: furono rotte alcune finestre degli edifici, le pareti furono imbrattate con graffiti e venne accumulata sporcizia. I ricercatori controllarono segretamente i vari luoghi urbani e osservarono che le persone si comportavano in modo meno ‘civile’ dopo che l’ambiente era stato appositamente reso disordinato. I risultati dello studio confermarono quindi la teoria iniziale.
Quando però nel 1994 il sindaco di New York Rudolph Giuliani volle applicare la cosiddetta teoria delle “finestre rotte” per combattere i crimini nella metropolitana cittadina, i risultati furono controversi. Oggi i dati a disposizione portano ad affermare che il degrado urbano è una concausa del rischio di aumento della microcriminalità, ma che la correlazione non è lineare.
L’esperimento delle “finestre rotte” lancia comunque un forte monito agli amministratori locali e consegna loro l’imperativo etico e politico di occuparsi seriamente dell’ordine, della pulizia e del decoro urbano di ogni porzione della città, periferie, comprese; è certo infatti che pulizia, ordine e bellezza, anche se non “salveranno” le città, contribuiranno senz’altro a renderle, se non più sicure, certamente più umane.
Maria D’Asaro
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