LATERA (Viterbo) – I parchi, ma anche in generale il verde urbano, sono oasi che permettono di contrastare alcuni dei più importanti problemi delle nostre città, ma parlano anche di storia attraverso le gesta di persone che hanno lasciato il segno, ricordate appunto con targhe e monumenti in luoghi significativi del posto. Ne sa qualcosa Francesco Di Biagi, sindaco di Latera, cittadina in provincia di Viterbo, che il 1 giugno del 2014, insieme al parroco di allora don Roberto Tramontana ed altre autorità, scoprì appunto il Monumento e la lapide commemorativa, alla “Santa Duchessa” Camilla Virginia Savelli Farnese, proprio nel Parco pubblico all’entrata del paese.
Tra il verde, bei vasi, giochi di ogni tipo per i bambini, c’è questo angolo in memoria di una donna che ha vissuto la sua esistenza terrena praticando l’eroico esercizio delle virtù, con amore e rispetto verso il prossimo. Una nobile venerabile duchessa di Latera e fondatrice del Monastero di Santa Maria de’ Sette Dolori in Roma, ma anche considerata una ‘insigne governatrice’ che aveva impostato la sua vita seguendo la Chiesa, tanto da pronunciare questa frase in punto di morte: “Muoio contenta perché Figlia di Santa Madre Chiesa”.
Ma chi era questa donna apprezzata e stimata a Roma quanto a Latera? Camilla Virginia Savelli era l’unica figlia di Giovanni, duca di Palombara, maresciallo di Santa Romana Chiesa e custode del Conclave e di Livia Orsini. Nacque a Palombara nel 1601 e a vent’anni sposa l’ultimo discendente dei duchi di Latera, Pietro Farnese. La giovane donna non ha figli e, così, decide di dedicare la sua vita alla beneficenza, compiendo opere pie. Ad influenzare le sue scelte è anche la figura di sua cognata suor Francesca Farnese, monaca clarissa nel monastero di San Lorenzo in Panisperna, fondatrice dei monasteri di Albano, Palestrina e della Concezione a Roma.
Così Camilla Virginia Savelli decide di fondare un monastero detto dei Sette Dolori e della chiesa annessa, nei pressi del Gianicolo, dove accogliere le nobili fanciulle che, per la loro delicata salute, non venivano accettate nei vari istituti, consigliata dalla beata santa Giacinta Marescotti. Nel 1663 scrive le regole dell’ordine, approvate da Alessandro VII, con le quali le oblate seguivano la regola di Sant’Agostino, senza obbligo di clausura. Nel 1668 muore e per sua espressa volontà viene seppellita nella chiesa che lei stessa aveva voluto edificare, lasciando tutte le sue sostanze, ossia i beni ereditati dalla madre e dal marito, al monastero.
L’ordine da lei istituito rimane attivo fino al 1969, cioè fino a quando la Congregazione per i Religiosi, riunisce le oblate del monastero dei Sette Dolori, con le suore del Santo Bambino Gesù. Tra l’altro, durante la terribile occupazione dei nazisti, il convento diviene uno dei più importanti rifugi degli ebrei di Roma. Fermarsi in un parco pubblico destinato ai bambini e scoprire che una donna ha speso la vita per il bene del prossimo della quale ancora oggi si parla è il piacevole riscontro della ricchezza della storia di ogni borgo d’Italia.
Laura Ciulli
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