ENNA – I tafferugli accaduti durante l’incontro calcistico tra Inter e Napoli riaprono l’annosa questione della violenza gratuita delle tifoserie. Un morto e alcuni feriti, oltre a ingenti danni, sono il tragico bilancio degli scontri tra gli ultras interisti e quelli partenopei. Una faida, vecchi rancori che nulla hanno a che vedere con lo sport se non l’occasione per attaccar briga, per venire alle mani e, in taluni casi, per uccidere. Allora è più logico parlare di delinquenti o di squilibrati che cercano e trovano futili motivi per liberare la loro energia distruttiva contro il tifoso della squadra avversaria: uno sguardo giudicato torvo, una parola fraintesa o di troppo, il colore della maglia o semplicemente niente e si scatena l’inferno.
Tifosi contro tifosi, ultras contro le forze dell’ordine, scontri armati che lasciano a terra morti e feriti. Una carica di barbari armati di coltelli, spranghe, martelli, roncole o bottiglie rotte con un unico fine: distruggere, annientare il “nemico”. Allora la partita assume, per questi soggetti, la valenza di una battaglia: si segue il percorso della tifoseria avversaria; si intercettano i mezzi che li trasportano; si individuano i luoghi per lo scontro e addirittura si creano alleanze. Una triplice alleanza in questo caso: Inter, Varese e Nizza. E un plotone armato, incappucciato, pronto all’assalto contro i van che trasportano i napoletani. Una “guerra-lampo” prima della partita, minuti di concitazione, gente che urla, scappa, entra nella mischia, coltelli che trapassano pelle, muscoli, ossa e organi, macchine che calpestano corpi, gas lacrimogeni e la scena diventa apocalittica.
Intanto allo stadio di San Siro arrivano le prime notizie confuse, i responsabili discutono animatamente se iniziare o meno la partita. Decidono: the show must go on. Gli spettatori fiutano qualcosa, arrivano le prime immagini sugli smartphone, c’è tensione ma è tutto un sotto controllo. Si fischia il calcio d’inizio: le due squadre si fronteggiano, giocano, rincorrono il gol. Dalla curva nord nerazzurra arrivano i primi sfottò razzisti, un ululato di suoni ad indirizzo del giocatore napoletano Kalidou Koulibaly. L’allenatore Ancelotti chiede alla procura federale per ben tre volte la sospensione, che non arriva. Il giocatore pressato psicologicamente si innervosisce, applaude contro l’arbitro che tira fuori il cartellino rosso. La partita si disputa in 10 e si perde. Ad essere sconfitto non è solo il Napoli, ma tutto il calcio. Uno sport che si è lentamente ammorbato negli anni: business, interessi economici, slealtà, ultrà, violenza, razzismo ne hanno deturpato l’immagine e la natura.
Il calcio è diventato terreno di scontro, un giro di denaro, la piattaforma di una società malata anch’essa. La competizione sportiva, il fair play è presto dimenticato, il buon senso pure. Prevalgono l’offesa, il tifo malato, la violenza, il razzismo. Una sorta di imperialismo calcistico: le squadre superiori contro quelle inferiori, i calciatori bianchi contro quelli neri. Una società multirazziale solo a parole.
Tania Barcellona
Nella foto di copertina, gli scontri tra ultras prima di Inter – Napoli
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