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Burocrazia tra reale, surreale e… letteratura

di | 2023-05-30T18:53:06+02:00 4-6-2023 5:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

MILANO – “La vicenda presenta peculiarità che, a tratti, la rendono quasi surreale”: potrebbe trattarsi del giudizio di un critico letterario per un racconto di genere esistenziale, allegorico, i cui contenuti si collocano ai confini tra realtà, immaginario e onirico; invece è uno stralcio dalla sentenza (203/A/2022), pronunciata dalla Corte dei Conti della Sicilia, in merito a fatti e circostanze realmente accaduti. Un’insegnante, in servizio presso un istituto della provincia di Catania, per 12 anni ha percepito sia lo stipendio che la pensione, senza che nessuno se ne accorgesse e senza che la stessa beneficiaria segnalasse l’errore. La docente, in pensione dal 2006 e deceduta a 78 anni nel marzo del 2019, ha continuato a ricevere il doppio emolumento fino all’agosto 2018; condotta che ha contribuito a determinare un danno erariale complessivo di 289.805 euro.

Macroscopico pasticcio burocratico sulle cui cause e responsabilità è doveroso quantomeno fare alcune riflessioni: la lavoratrice avrebbe dovuto denunciare l’anomalia della sua situazione; la dirigente scolastica era tenuta a firmare e trasmettere, come da protocollo, la documentazione (in particolare la Corte sottolinea la mancata trasmissione del modello “D”); sul responsabile di segreteria gravava l’obbligo di predisporre la pratica connessa al collocamento in quiescenza; il Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) e l’Istituto per la previdenza sociale (INPS), per specifica competenza, sono preposti a verificare la correttezza di ogni operazione ed operare in sincronia. Ebbene, questo codificato e ferreo iter burocratico è miseramente naufragato nel torbido mare di una generalizzata e colpevole negligenza, fatta di carte compilate e mai trasmesse, lasciate a giacere negli armadi della scuola interessata, come accertato in seguito dalla Guardia di Finanza.

Un dato è ancor più “surreale”: l’INPS ha corrisposto emolumenti pensionistici ad un soggetto “nonostante avesse 78 anni” – come rilevano i giudici – quindi con una situazione anagrafica ben oltre qualsiasi limite previsto dalle norme vigenti e pregresse che regolano la cessazione dal servizio. La vicenda, per quanto paradossale, è indubbiamente riprova della farraginosità di un sistema ancora macchinoso e lento. La Corte dei Conti ha condannato la preside a risarcire la somma di 11 mila euro e la dirigente amministrativa quella di 18 mila euro; tali importi costituiscono rispettivamente il 50% ed il 30% di quelli contestati e già decurtati per prescrizione e/o altri benefici di legge. Con questo non si vuole certo demonizzare la burocrazia, poiché evidentemente in qualsiasi istituzione i documenti servono per attestare e garantire la trasparenza, nonché permettere la condivisione dei fini, della progettazione e della valutazione.

Il problema non è, quindi, se scegliere fra burocrazia o no, quanto piuttosto adoperarsi per renderla un sistema chiaro e soprattutto “veloce” che possa, col supporto di una banca dati condivisa fra i diversi soggetti operanti, perseguire un unico obbiettivo. Non è, di conseguenza, casuale se nell’immaginario collettivo sia presente la figura del travet che fa capolino dietro una montagna di impolverati faldoni e disordinate carte, sparse in uffici ubicati in sotterranei poco illuminati; né tantomeno che i tratti dell’assurdità dell’apparato burocratico siano stati e siano presenti in opere letterarie, anche se con valenza simbolica diversa. In genere per alcuni autori essi divengono emblema metafisico dell’alienazione dell’esistenza stessa, per altri rappresentano il male più incancrenito da cui nessuno Stato o Istituto sia riuscito mai a liberarsi.

Luigi Pirandello

Due novelle, in una produzione sconfinata, possono essere ben rappresentative: “Il treno ha fischiato” di Pirandello (pubblicata nel 1914 sul Corriere della Sera) e “La morte dell’impiegato” di Cechov (pubblicata in Novelle, 1892?). Il protagonista della prima, Belluca, definito “circoscritto entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di computista” nel grigiore “delle partite semplici o doppie” e afflitto da una terribile situazione familiare, è il prototipo della classe impiegatizia piccolo-borghese angustiata da miserie, sofferenze e frustrazioni durante l’età giolittiana. Il suo scagliarsi improvviso “Farneticava. Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici” e senza motivi apparenti contro il proprio capo-ufficio assurge, nell’ottica di Pirandello, a visione metafisica dell’uomo che si ribella all’alienazione esistenziale. Belluca è imprigionato nella maschera del suo lavoro che lo rende “forestiere” della sua stessa vita, pertanto la burocrazia, nella novella, altro non è che la manifestazione contingente della “trappola” esistenziale. Il protagonista evade dalla sua condizione grazie ad un evento epifanico, il fischio del treno appunto, che gli consentirà di travalicare il suo quotidiano verso mondi fantastici, tutte le volte che, libero dai lacci della famiglia e da quelli lavorativi, riuscirà a coglierne il suono.

Anton Cechov

Cechov in “La morte dell’impiegato” mette alla berlina l’ottusità della burocrazia zarista; in questo caso l’elemento che sopraggiunge inaspettato a spezzare il ritmo ed il senso preordinato della vita è un banale starnuto “Ma a un tratto… Nei racconti spesso s’incontra questo a un tratto […] la vita è così piena d’imprevisti!”. Una sera a teatro “una magnifica sera un non meno magnifico usciere”, Ivàn Dmitric’ Cerviakòv” starnutisce e gli spruzzi colpiscono la nuca del generale civile Brizzalov, seduto nella poltrona davanti a lui. Si sviluppa, quindi, una spirale di comportamenti paradossali, con cui l’impiegato cerca ripetutamente di farsi perdonare un così grave affronto. Alla fine il generale, che aveva già accettato le scuse porte nell’immediatezza dell’evento, infastidito lo scaccia in malo modo dagli uffici del Dicastero “Vattene! – ripeté il generale, pestando i piedi. Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò…. Arrivato macchinalmente a casa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul divano e … morì”.

Cechov descrive uno spaccato del mondo gerarchizzato della burocrazia russa che opprime l’individuo e ne annienta la vita, riducendo il “magnifico” usciere ad elemento meccanico, quasi solo divisa animata. Cervjakòv, stritolato dalla rigida chiusura tra le classi del periodo zarista e mortificato per aver irrimediabilmente offeso un suo superiore, alla fine si autodistrugge nella vana ricerca di scusarsi.

Gli epiloghi delle due novelle si caratterizzano per tragicità, senso del paradosso e fuga dalla realtà; per l’episodio di cronaca ricordato, mettendo da parte echi filosofici e velleità letterarie, il finale risiede nell’azione di recupero crediti ora intrapresa dalla Ragioneria dello Stato nei confronti degli eredi della docente. I contribuenti stiano, dunque, tranquilli.

Adele Reale

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