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Buono, bello e utile sono sempre d’accordo?

di | 2023-01-15T09:56:36+01:00 15-1-2023 6:30|Cultura, Sezione 7|0 Commenti

 

TARANTO – Nel primo libro del Pentateuco, il Bereshìt, l’autore, descrivendo i vari momenti della creazione dell’universo, inserisce la cosiddetta “formula di approvazione” divina: «Dio vide che era tôb». L’aggettivo positivo aramaico tôb, che diventa di grado superlativo quando Dio crea l’uomo (tôb me’od), nelle più antiche versioni greche dell’Antico Testamento viene tradotto a volte con agathós (buono), a volte con kalós (bello), a volte con chrestós (utile): come se nelle società arcaiche i tre concetti non fossero indipendenti come in quella greca, ma inscindibili.

San Tommaso d’Aquino

In realtà Platone, nel Timeo, asserisce che tutto ciò che è utile è anche buono e ciò che è buono è anche bello: uno scudo è bello quando protegge il corpo, sicché uno scudo d’oro, che non assolve allo scopo cui è indirizzato, non è utile né buono né bello. Secondo Platone, però, i nessi logici tra “utile”, “buono” e “bello” non sono bidirezionali: non è detto, infatti, che ciò che è bello sia anche buono, né che ciò che è buono sia anche utile; sono vere solo le correlazioni inverse.

Tommaso d’Aquino sostiene che “bello” e “buono” non sono che due facce della medesima medaglia: pulchrum est idem bono, sola ratione differens (il bello si identifica con il bene, salvo una semplice differenza modale), ove con sola ratione differens Tommaso si riferisce al coinvolgimento di sistemi sensoriali differenti: vista e udito per il bello, gusto e olfatto per il buono. Lo scaltro ed abile aquinate, lo si intende bene, per giungere a stabilire un qualche nesso efficace fra le tre variabili platoniche, ne semplifica lo schema relazionale eliminandone una: l’utile.

Edmund Burke

La medesima operazione, questa volta a carico della variabile “buono”, viene compiuta da Kant in Critica del Giudizio Estetico: l’esperienza del bello è disinteressata, senza scopo, senza ricadute venali, “inutile”. Ammirare un’opera d’arte, ascoltare della buona musica, leggere una bella poesia, godere di uno spettacolo teatrale sono esperienze che, è vero, non hanno mai arricchito nessuno come direbbe Petronio, ma affatto utili perché “fanno star bene”.

Tutti tali nessi, è palese, sono riconducibili alle caratteristiche strutturali e funzionali di un artefatto, materiale o immateriale, non alle qualità etiche ed estetiche di una persona. In quest’ultimo caso, ci si chiede, quando la proprietà intrinseca dell’utilità oggettiva si dissolve come neve al sole facendoci ricadere nello schema relazionale tomistico, come si articola il rapporto bello/buono?

Con il termine kalokagathia (dal greco kalòs kai agathòs= bello e buono) viene indicato ciò che, secondo la cultura sofistica del V secolo a.C., sarebbe l’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo. L’espressione greca – così come quella analoga di Giovenale mens sana in corpore sano (una mente sana in un corpo sano) – non suggerisce affatto l’esistenza di un rapporto causa/effetto – del tipo “ad un aspetto curato corrisponde un animo nobile” – ma solo un obiettivo cui tendere o la speranza che un buono stato fisico e mentale accompagni la nostra esistenza. Ancor più falso è l’odioso pregiudizio secondo il quale esisterebbe una correlazione tra bellezza e cattiveria o stupidità o superficialità!

Immanuel Kant

Quando si tratta di “persone”, però, è doveroso che si definiscano al meglio i concetti di bello e di buono e Tommaso d’Aquino, in questo, si dimostra illuminante giacché in latino il termine pulchritudo indica la bellezza esteriore e il termine bonum quella interiore. La prima è ben poca cosa rispetto alla seconda: col tempo questa cresce, quella degrada. L’assioma tomistico può dunque essere riformulato, sostenendo che il bello non si identifica con il bene, ma che entrambi definiscono, in una serie infinita di combinazioni, tutte uniche ed originali, la “persona”.

Finalmente si può affermare, con il filosofo irlandese Edmund Burke, che è bello ciò che suscita desiderio di conoscenza e, poiché la conoscenza è un’esperienza decisamente arricchente, è possibile concludere che al bello/buono, le due facce della medesima medaglia, non può che conseguire l’utile: secondo Burke, in definitiva, bello, buono ed utile diventano congruenti solo nell’amore, che è desiderio di conoscere l’altro. Forse ha ragione… in tal caso la positiva valutazione divina (tôb) andrebbe intesa come dedicata al risultato di un atto d’amore.

Riccardo Della Ricca

Nell’immagine di copertina, La Creazione di Adamo di Michelangelo, dipinta sulla volta della Cappella Sistina

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