RIETI – Si fa un gran parlare di bullismo, ma il fenomeno, pur se attenzionato, è in continua espansione, soprattutto tra gli adolescenti. Il bullismo consiste nel prendere reiteratamente in giro e usare violenza, sia fisica che verbale, su una persona che, generalmente, è considerata più debole. Gli episodi partono da un soggetto, il bullo, che è spesso sostenuto da un gruppo che assiste e da cui è considerato il più forte. Inizialmente questi episodi avvenivano fuori dalla scuola ed erano abbastanza isolati. Ora avvengono soprattutto in ambito scolastico e anche in altri luoghi frequentati da bambini e da adolescenti (palestre, parchi, ecc..).
Ciò che caratterizza questi atti sono la violenza e l’aggressività con cui vengono compiuti ed è questo aspetto che maggiormente allarma, ovvero la forma di violenza con cui il bullo e i suoi si accaniscono contro la “vittima” prescelta. Visto il dilagare di questi episodi, su più fronti si sono attivate misure preventive per cercare di arginare in parte il problema. Oggi, a differenza di alcuni anni fa, circa il 50% delle vittime di bullismo segnalano a docenti o ad adulti il maltrattamento, seppur si riscontra ancora molta ritrosia e paura, cosa che li fa diventare quasi complici del problema stesso. Uno degli aspetti che si considera grave è che le vittime non parlano ai genitori o in famiglia e neanche agli amici, questo per una sorta di vergogna. E dunque tengono per sé ciò che subiscono, innescando una serie di reazioni che nel tempo possono generare gravi danni sia fisici che psicologici.
Un’altra caratteristica che riguarda questi atti è che, quando riguarda soggetti femminili, si ricorre maggiormente alla violenza psicologica, come ad esempio emarginare, estraniare, allontanare la giovane dal gruppo facendola sentire sbagliata, brutta, inadeguata, fuori contesto, riducendo pian piano la vittima ad una sorta di isolamento che mortifica e crea gravi ripercussioni psicologiche.
C’è da dire che il bullismo c’è sempre stato. Non aveva un termine specifico a contraddistinguerlo, ma ciò che lo caratterizza inequivocabilmente oggi è la violenza con cui si manifesta. Si può anche uccidere con la sola arma della cattiveria. Social e cellulari non fanno altro che amplificarne l’effetto. Ci sono giovani depressi, giovani che a volte abbandonano la scuola, che soffrono terribilmente. Ragazzi si sono suicidati perché presi in giro per il loro modo di comportarsi, di vestire, di vivere. Sono i più timidi, i più bravi, i più benestanti o i più poveri a seconda del contesto. Comunque diversi dai bulli.
In queste situazioni il ruolo delle famiglie è davvero molto delicato in quanto nella maggior parte dei casi sono completamente all’oscuro di ciò che accade al proprio figlio, per svariate motivazioni che passano attraverso la superficialità delle comunicazioni, altre che a volte del tutto mancanti, allo stile di vita frenetico che coinvolge genitori molto spesso assenti e stanchi, o anche non del tutto capaci di distinguere quei segnali d’allarme che molto spesso ogni giovane manda. Il paradosso è che appare un fenomeno difficilmente arginabile in quanto sia il bullo che il bullizzato sono soggetti molto spesso simili. Fragili, disadattati, soli. Ciò che fa la differenza e che rende bullo un soggetto, è il branco che diventa la forza che muove le azioni. Ciò che emerge dal tutto è che l’arma per sconfiggere queste pericolose manifestazioni è vincere la paura tramutandola in vantaggio sia di aiuto che di conforto.
Stefania Saccone
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