MILANO – Le notizie corrono veloci sul web e, in pochi istanti, si è diffusa la notizia della dipartita del grandissimo artista colombiano Fernando Botero. Lui che ha saputo, attraverso i suoi dipinti e più di molti altri, rendere immensa la leggerezza dell’arte della danza. La sua arte che nasce dall’unione tra antichità italiana e autenticità colombiana. Botero, da sempre innamorato dell’Italia, dove aveva preso casa negli anni Ottanta, era un grande amante dell’arte rinascimentale e di Piero della Francesca, in particolare. Caratteristica la rotondità delle sue figure, o meglio la sfericità: perfetta come Giotto, perfetta come l’ovale di Piero della Francesca che scende a piombo sul volto della Vergine. Nelle sue opere risuonavano il grottesco, l’ironia, l’impeto popolare e le deformazioni che davano l’impronta di sé a quella che per lui doveva essere l’arte, cioè la “revolución permanente”.
Lui, artista contemporaneo in rivoluzione permanente, contromano e anticonformista, ma aderente all’uomo perché la sua arte era (è) voluttuaria, essenza carnale di un’idea, idea sensibile di un inesprimibile che non si può esprimere che con l’arte. Le sue corpulente creazioni avevano ed hanno conquistato collezionisti, istituzioni e spazi pubblici in tutto il mondo. La critica più rigida, estranea all’ironia definisce quella carne sinuosa alla base del “Boterismo”. Lui ci ha fatto amare i corpi tondeggianti e le imperfezioni da mostrare al mondo, senza timore e con una leggerezza. Il suo scopo: non dipingere donne grasse, uomini, animali, paesaggi, frutta ma di comunicare sensualità alla forma. Piaceva a Botero, trasmettere questa pienezza, questa generosità, questa sensualità, perché la realtà è arida.
“Nessuno mi crede. Io non ho mai dipinto una donna grassa nella mia vita. Dipingo solo la sensualità, l’essenza dell’esistenza. È una visione filosofica, una posizione concettuale. L’importanza della forma, del volume è da sempre nella storia dell’arte. Da questo concetto sul volume nasce il mio linguaggio. Per questo, ripeto: non ho mai dipinto una donna grassa nella mia vita”.
Fernando Botero Angulo nasce a Medellín in Colombia il 19 aprile 1932, pittore, scultore e disegnatore, salutato dai colombiani con ceste di fiori all’ingresso del museo di Antioquia, dove sono conservate alcune opere dell’artista. Aveva davvero attuato una rivoluzione ricca e amata, odiata e disprezzata principalmente dai critici snob perché, come scrisse Vittorio Sgarbi, “non c’è alcuna tensione drammatica nella sua pittura, c’è invece una decorazione che può determinare qualche disappunto, e la critica gli rimprovera, evidentemente, di essere un illustratore, di essere un pittore fumettista anziché drammatico”. Secondo Botero, il dipingere deve essere inteso come una necessità interiore, un bisogno che porta ad un’esplorazione ininterrotta verso il quadro ideale. Tuttavia, questo bisogno rimane sostanzialmente inappagato. Il colore rimane tenue, mai esaltato, mai febbrile, generalmente steso in campiture piatte ed uniformi, senza contorni. Da notare l’assenza totale delle ombreggiature nei suoi dipinti, perché essi, secondo Botero “… sporcherebbero l’idea del colore che desidero trasmettere”.
Per Fernando Botero, che considerava la famiglia e il lavoro come gli aspetti più importanti della sua vita, uno dei momenti più difficili fu rappresentato dalla morte del figlio Pedrito: nel 1974, quando il bambino che aveva solo 4 anni, rimase vittima di un incidente stradale e pochi mesi fa il 5 maggio, la perdita della moglie, la pittrice greca Sophia Vari, a causa di un tumore. Caratteristica della sua pittura è l’insolita dilatazione che subiscono i suoi soggetti, che acquistano forme insolite, quasi irreali, ma con un proprio fascino. Ma è un passaggio necessario per far comprendere la necessità di colore delle sue opere. L’artista si rivela sostanzialmente distante dai suoi soggetti. Ed è proprio questa freddezza che fa scomparire dai personaggi la dimensione morale e psicologica. Gli sguardi sono sempre persi nel vuoto, gli occhi non battono, sembra quasi che osservino senza guardare. Interessante anche la rappresentazione del tempo, elemento presente in molte opere di Botero, in cui lo stesso soggetto può essere raffigurato in momenti diversi; in altre il tempo è simboleggiato da orologi.
Importante anche la trattazione dei temi sacri, cui Botero dedica molte sue creazioni, permeando l’intera produzione: dai suoi paesaggi urbani emergono regolarmente grandi cattedrali, campanili, cupole; così come appare spesso considerato il soggetto della maternità, nel quale talvolta l’autore identifica la Madonna con il Bambino. Frequenti anche i ritratti di religiosi ed ecclesiastici. Altro problema sociale affrontato costantemente è quello della violenza, derivato dalla vita quotidiana della Colombia negli anni quaranta dello scorso secolo, fino alla violenza dei narcotrafficanti del cartello di Pablo Escobar; più in generale, Botero dipinge conservando le impressioni della sua infanzia, che sfociano in forme grandi e sproporzionate, come quelle avvertite da un bambino.
L’artista, morto a Montecarlo all’età di 91 anni, desiderava essere seppellito nel cimitero della cittadina in provincia di Lucca, lo stesso dove giace “l’amore della sua vita”, sua moglie Sophia Vari. Il figlio Zea ha raccontato che il padre era innamorato dell’Italia per tre motivi: “Il primo perché l’arte di Firenze ha influenzato il suo lavoro, il secondo per le fonderie di Pietrasanta dove ha scolpito molte sue opere, il terzo per la grande ammirazione che la gente nutriva per lui”.
Resta e resterà sempre artista unico per aver amato il mondo fatto di mille imperfezioni e averlo osservato con un occhio diverso dai soliti cliché.
Claudia Gaetani
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