RIETI – Le bandelle bianche e rosse impediscono di parcheggiare per un lungo tratto davanti all’Auditorium Santa Scolastica a Rieti, le forze dell’ordine sono ovunque: sono arrivati il magistrato Nino Di Matteo e il giornalista antimafia Paolo Borrometi (condirettore dell’Agenzia di stampa AGI, presidente di Articolo 21, collabora con Libera con la fondazione Caponnetto e con la CGIL, per il suo impegno di denuncia ha ricevuto l’onorificenza motu proprio dal Presidente della Repubblica). Sta per iniziare il convegno organizzato da Agende Rosse di Rieti con Elena Marchili, Chiesa e Caritas di Rieti “L’impegno del quotidiano, incontri d’autore”, moderato da Helena Cocco, Paola Rita Nives Cuzzocrea, con l’introduzione dell’avvocato Simone Petrangeli.
Ancora prima dell’inizio, osservando la sala e la strada, viene già spontanea la domanda: perché nel nostro Paese chi è alla ricerca della verità, la divulga, fa rispettare le leggi con onestà e impegno deve vivere sotto scorta? Ogni parola è pesata, Nino Di Matteo parla solo per sentenze passate in giudicato, lui che ha indossato la toga per la prima volta proprio nei giorni seguenti all’attentato a Giovanni Falcone, alla moglie e alla sua scorta. Insieme a Saverio Lodato, giornalista di mafia, antimafia e Sicilia (oggi scrive su Antimafiaduemila.com), Nino Di Matteo ha scritto “Il patto sporco e il silenzio”. Il silenzio è quello calato dopo l’ultima sentenza del processo sulla trattativa Stato-mafia, una verità acclarata, come riportato distintamente nelle motivazioni della sentenza d’appello. Anziché complimentarsi, la politica ha attaccato i magistrati che hanno istruito il procedimento, con la volontà di rimuovere la verità dalla cronaca.
Gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino; le bombe a Milano, Firenze e Roma; gli uomini migliori di uno Stato in ginocchio vengono sacrificati e non si può tacere, perché nello stesso momento “c’era chi in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico. Fu proprio dopo la sentenza d’appello che avvertimmo la necessità di un’altra edizione di questo libro. Gli imputati, prima condannati, erano stati assolti e non si poteva far finta di niente, anche perché nel frattempo si è aggiunto il ricorso in Cassazione della procura generale di Palermo”.
Il libro di Paolo Borrometi “Traditori – come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana” è complementare al libro del collega giornalista e del magistrato. La storia parte da lontano, dallo sbarco degli Americani in Sicilia nel 1943 con l’appoggio di Lucky Luciano, la strage di Portella della Ginestra, via Fani, via dei Georgofili, l’Italicus, piazza della Loggia, piazza Fontana, Bologna e tutti gli altri, l’uccisione di uomini come Piersanti Mattarella, Boris Giuliano, il giudice Livatino, Pio La Torre, Ninni Cassarà, il generale Dalla Chiesa, la solitudine di Caponnetto e Chinnici.
“La trattativa Stato-mafia c’è stata, i telegiornali dissero di no, organizzazioni eversive reggono i fili della nostra democrazia, i cittadini hanno il diritto ad essere informati. Il sistema criminale si regge su connivenze finanziarie, economiche politiche e in tutti questi anni i nomi che emergono sono gli stessi” e citando don Milani, Borrometi parla anche alla società civile: “E’ inutile avere le mani pulite se le teniamo in tasca. Ci vogliono più giornalisti d’inchiesta, la morte di Andrea Purgatori, impegnato in prima linea sul caso Ustica è un dolore e una grande perdita. La ricerca della verità è un percorso ad ostacoli, in cui viene messa in dubbio la credibilità dell’accusatore: di Falcone si disse che la bomba all’Addaura l’aveva piazzata lui stesso, l’agenda rossa di Paolo Borsellino era un ‘parasole’, don Diana un ‘camorrista’, Peppino Impastato un ‘terrorista’. La lista è lunga e la strategia ha un preciso nome mascariamento. Il colonnello Mario Mori interrogando Vito Ciancimino in commissione antimafia disse ma cos’è questo muro contro muro? indicando già una contrapposizione, perché non venne perquisito il covo di Totò Riina, perché non fu arrestato Bernardo Provenzano? La sentenza di Firenze rafforza la convinzione che le stragi pagano e quanti sanno del fallito attentato allo stadio di Roma durante la partita Roma –Udinese in cui volevano uccidere 150 Carabinieri, con una Lancia Tema carica di esplosivo in via dei Gladiatori? Fallì perché non funzionò il telecomando. Nessuno era al corrente di questo attentato, allora perché non ritentarlo la settimana successiva? Perché a un certo punto le stragi e gli attentati cessarono? E Cosa Nostra fu l’unica?”.
Queste domande vogliono risposte: “Un magistrato ha il diritto di parlare, di porsi delle domande, cercare le risposte? E soprattutto, le vogliamo, le volete avere queste risposte?” chiede Di Matteo, che alla politica chiede di sostenere la Magistratura, anziché ostacolarla con la separazione delle carriere, limiti alle intercettazioni, ingerenze, delegittimazioni: gli atti giuridici non più secretati devono essere pubblicati. “La Magistratura sta vivendo un momento difficile, c’è carrierismo, il caso Palamara è solo la punta dell’iceberg, c’è voglia di rivalsa e regolamento di conti – prosegue Di Matteo – l’indipendenza della Magistratura è garanzia di indipendenza per tutti. La gente deve sapere, è proprio la gente che deve chiedere verità e giustizia, anche per i tanti familiari di vittime di mafia, lasciati soli. La lotta alla mafia non è solo ordine pubblico, è una battaglia ideale, le organizzazioni mafiose condizionano e limitano libertà e diritti, c’è il rischio di revisionismo e di negazionismo. La mafia cambia pelle come i serpenti e sa muoversi in ogni contesto, per questo la società civile deve essere informata. Arrabbiatevi, ribellatevi, Indignatevi, impegnatevi per conoscere la verità e sarete vivi e liberi, impegnarsi è un dovere e uno sforzo collettivo. Sulla stagione delle stragi dobbiamo fare veramente luce e la rivoluzione deve partire da noi. Io mi preoccupo quando la politica dice ‘aspettiamo le sentenze’: la politica deve muoversi subito, invece si parla di un emendamento che dà alla polizia giudiziaria, fin dal primo momento, la facoltà di decidere se una intercettazione, una dichiarazione, un elemento dell’inchiesta sia rilevante o meno. Tutto può essere importante, se non oggi, domani. Nulla deve essere omesso, fin dall’inizio delle indagini”.
In quarta di copertina del libro, Borrometi scrive: “La storia del nostro Paese si snoda lungo un percorso ininterrotto di capitoli drammatici in cui il caos sembra essere l’arma vincente di chi lotta per conquistare il potere o per conservarlo. Confondere per generare paura e seminare discordia. Ecco perché è un dovere raccontare, denunciare e non arrendersi mai”. Questi uomini non devono essere lasciati soli, la mafia vive e si riproduce con l’omertà, il silenzio la paura, la rassegnazione. Non possiamo essere tutti come don Abbondio: il coraggio ce lo dobbiamo dare.
Francesca Sammarco
Nell’immagine di copertina, il magistrato Nino Di Matteo (a sinistra) e il giornalista Paolo Borrometi
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