Sono oltre 6mila i borghi italiani “spopolati”. Il censimento condotto dall’Istat nel 2020, ha portato alla luce che alcune meraviglie del nostro Paese, ormai abbandonate, rischiano, adesso, l’estinzione. Eppure, da qualche anno, parole come Great Resignation e City Quitters sono anglicismi entrati nel gergo comune per esprimere una tendenza contemporanea: rifiutare il modello di sviluppo industriale urbano-centrico stimolato in tutto il Novecento da un sistema sempre più a trazione capitalistica a beneficio della riscoperta di una dimensione locale dove coniugare valorizzazione del paesaggio e recupero delle tradizioni e del patrimonio culturale di piccole comunità.
Proprio a questi temi è stato dedicato il convegno “Recupero del patrimonio e innovazione tecnologica: quali opportunità per lavoratori e imprese?” organizzato dall’Osservatorio sulle trasformazioni del lavoro e della formazione continua promosso da FondItalia e il CNR – ISEM Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, durante il quale sono state presentate case history significative e si è discussoà delle strategie messe in campo dall’Unione Europea per il recupero e la rigenerazione dei borghi antichi.
«L’innovazione tecnologica può favore e stimolare questi processi – spiegano gli organizzatori – conferendo una nuova centralità a territori rimasti ai margini dei processi di sviluppo nel corso del XX secolo». Isabella Cecchini, ricercatrice del CNR – ISEM, ha parlato del “caso Venezia”, ossia dello spopolamento, il consumo turistico e la riqualificazione urbana tra innovazione tecnologica e nuove competenze. Angelo Cattaneo, ricercatore CNR-ISEM, è intervenuto sulle “unicità aperte” dei villaggi dei cristiani nascosti in Giappone, un caso di recupero minuzioso del patrimonio culturale in territori periferici. Gianpaolo Basile, dell’Università Mercatorum, ha illustrato le strategie dell’Unione Europea per il recupero dei borghi antichi.
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