Una vita nel calcio, una vita nella Juventus. Se ne è andato a quasi 93 anni, a causa di un’insufficienza cardiaca, Giampiero Boniperti, dal 2006 presidente onorario del club bianconero, del quale era stato prima giocatore dal 1946 al 1961, poi presidente (dal ’71 al ’90) e amministratore delegato (dal ’91 al ’94). Una vita scandita sempre da due soli colori. Vengono i brividi a pensarci in un’epoca in cui la fedeltà alla maglia è un optional scandito solo dai contratti, dai soldi (tanti, troppi), dalla convenienze, dai procuratori, dagli sponsor… E il sentimento di riconoscenza verso chi aveva messo esclusivamente i valori dell’appartenenza al primo posto dovrebbero essere presenti anche in chi “odia” calcisticamente la juventinità e tutto ciò che rappresenta.
Frequentemente in queste ore ci si chiede se Boniperti sia stato più bravo come giocatore o come massimo responsabile. In realtà, la distinzione è inutile: in campo “Marisa” (il soprannome glielo aveva affibbiato il compagno di squadra Carletto Parola per via di quella chioma bionda e boccoluta) era un leader indiscusso senza bisogno di urlare o di atteggiamenti autoritari. E dietro la scrivania della più importante società italiana gestiva con l’autorevolezza del capitano e di chi conosceva perfettamente l’intero universo pallonaro.
Giampiero fa il provino per la Juve non ancora diciottenne in piazza d’Armi, davanti a “Farfallino” Borel, che poi lo fa giocare nelle riserve già il 22 maggio 1946 contro il Fossano. Boniperti non tradisce alcuna emozione e finisce 7-0: i gol li segna tutti lui. Il ragazzino biondo di Barengo tira calci a un pallone nel cortile del Collegio De Filippi di Arona, affinando la tecnica per la strada e sviluppando fondamentali da fuoriclasseo. A quei tempi si diventava calciatore così. Il responsabile del settore giovanile della Juventus Volpato lo ingaggia all’istante. In prima squadra segna l’8 giugno 1947 a Marassi contro la Sampdoria e da quel momento non si ferma più. Segna e fa segnare, diverte, anzi incanta con le sue giocate semplici e affascinanti. Per certi veri gli somiglierà molto negli anni seguenti l’indimenticabile Paolo Rossi, il re di Spagna 82: senza un fisico eccezionale, ma con la classe, l’astuzia, la capacità di farsi trovare sempre al posto giusto e al momento giusto. E queste doti (tempismo, intelligenza, concretezza) non si insegnano e non si imparano: sono innate.
Diventato titolare inamovibile e schierato da Cesarini nel ruolo di centravanti, diventò capocannoniere della massima serie con 27 gol, a vent’anni ancora da compiere, davanti ai granata Valentino Mazzola e Guglielmo Gabetto, due autentici miti del calcio dell’epoca. Nonostante la fedele militanza in maglia bianconera, per un’unica partita Boniperti vestì eccezionalmente la casacca granata degli storici rivali cittadini: avvenne il 26 maggio 1949 quando, per rendere omaggio alla squadra del Grande Torino, perita poche settimane prima nella tragedia di Superga, venne organizzata un’amichevole a scopo benefico volta per aiutare le famiglie delle vittime; nell’occasione una selezione dei migliori giocatori della Serie A dell’epoca scese in campo contro gli argentini del River Plate (per la cronaca finì 2-2).
Col passare degli anni, cambiò ruolo e arretrò il suo raggio d’azione, diventando centrocampista. Per la precisione regista, esattamente quello che era sempre stato e sarà poi negli anni successivi da dirigente. In qul periodo Boniperti formò un “trio delle meraviglie” con altri due straordinari calciatori: l’argentino Omar Sivori e il gallese John Charles. Una sinfonia inimitabile in cui si fondevano classe, fantasia e forza fisica. Poi il 10 giugno 1961, senza preavviso consegna gli scarpini al magazziniere e gli dice: “Questi tienili tu, a me non servono più”. Il suo amico Charles è spiazzato: “È venuto a mancare il cervello, il pilastro del centrocampo, l’uomo che dirige e coordina il lavoro dei compagni, l’uomo indispensabile per una squadra che voglia giocare un calcio moderno a livello nazionale e internazionale”. Il bilancio è esaltante: 15 stagioni alla Juventus, 460 volte in casacca bianconera e 182 gol, con 5 scudetti e 2 Coppe Italia in bacheca.
Chiamato dall’avvocato Gianni Agnelli, indossa i panni della sua seconda vita, quella da presidente, il 13 luglio 1971, e scrive pagine indelebili di storia bianconera. Una Juventus che con la sua presidenza conquisterà finalmente anche l’Europa, vincendo tutti i trofei disponibili, oltre a dominare in Italia mietendo ben 9 scudetti. Diventeranno leggendari i suoi colloqui con i giocatori, nell’ufficio di Villar Perosa, per discutere dei contratti per la stagione successiva. Il “metodo Boniperti” non concede molti margini di trattativa: l’onore e l’onere di indossare quella maglia resta un valore aggiunto. Il contratto e i relativi soldi vengono dopo: tutti, anche il grande Platini, si adeguano. E chi non lo fa la maglia biancenera se la può scordare per sempre. “Posso dire – ricorda Dino Zoff – che con lui non ho mai avuto problemi e con i giocatori era sempre molto chiaro. Le regole erano regole. Punto. Non so se anche questo ha fatto lo stile, ma la chiarezza e le regole c’erano sempre”.
Indimenticabile l’immagine del 2011 all’inaugurazione ufficiale dello Juventus Stadium (a proposito, in nome degli sponsor e del danaro, adesso non si chiama più così…) quando sul prato verde davanti ad una vecchia panchina in legno e con un consunto pallone di cuoio in mano, Giampiero Boniperti (il passato) e Alessandro Del Piero (il presente) raccontano la loro juventinità davanti ad un popolo di tifosi in festa. A fatica e con la voce rotta dall’emozione, il presidente ricordò quali valori aveva incarnato nella sua vita alla Juventus “che non è la mia squadra del cuore, ma il mio cuore”. La frase “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” è il marchio di fabbrica bianconero: un mantra e un monito, allo stesso tempo, per chiunque indossi quella maglia.
Buona domenica.
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