PERUGIA – Grande soddisfazione ed entusiastici festeggiamenti, per la nascita, nel Parco-zoo di “Città della Domenica”, sulla collina di Perugia che sovrasta lo stadio Renato Curi, di un gufo. Il nuovo nato, cui è stato imposto il nome di “Hibou” (termine francese che significa, appunto, gufo), appartiene al genere “Bubo scandiacus” – secondo la classificazione di Linneus – e, pertanto, alla famiglia degli strigidi. Più conosciuto come “civetta delle nevi” o “barbagianni reale” è un rapace, di colore bianco, che vive tra l’Europa, l’Asia ed il Nord America, preferendo le fasce più fredde. La tundra, il suo ambiente ideale.
La singolarità dell’evento perugino consiste nel fatto che Hibou sia venuto alla luce in cattività e da due genitori, anche loro procreati e cresciuti in uno zoo. La madre Loredana, di 4 anni, proviene dalla Germania; il padre, Renato, 5 anni, dal Belgio. L’uno e l’altra ignari di come la loro specie si comporta in natura con i piccoli. Tanto che i precedenti parti della coppia erano finiti, tristemente per i gestori e dipendenti del Parco, con la morte dei pulcini. Infatti i due genitori spendevano, sì, infinita cura ed attenzione nel portare cibo ai piccoli, tuttavia lo consegnavano senza sminuzzarlo, servendolo loro in pezzi troppo grandi e, per questo, difficilmente ingeribili e comunque non digeribili dalla prole.
Per raggiungere l’obiettivo della sopravvivenza di Hibou sono scesi in campo la dottoressa Maddalena Furbetta – una Spagnoli per parte di madre (la famiglia perugina che ebbe l’idea del Parco Giochi nel primo dopoguerra su un terreno di 45 ettari e con animali di ogni specie: dai canguri ai bisonti, dagli struzzi alle antilopi, dagli yak alle lepri della Patagonia, dall’asinello bianco di Sardegna ad un rettilario tra i più importanti d’Europa) – e i veterinari che hanno provveduto a spezzettare nel modo dovuto il cibo prima di consegnarlo ai due genitori un po’… imbranati o, se si vuole, inesperti. E così tutto è filato via liscio e per il meglio.
In natura questi uccelli si alimentano di piccoli mammiferi come i lemming e i topolini e presto Hibou comincerà a gestirsi da solo. Fosse ancora vivo Luciano Gaucci (1938-2020) chissà cosa avrebbe fatto per averlo! L’ex presidente del Perugia – ed anche titolare della scuderia “White Star”, dalla quale uscì il campione Tony Bin, capace di vincere persino l’Arc de Triomphe a Parigi, battendo i purosangue della regina Elisabetta II (risultato che inorgogliva particolarmente l’imprenditore romano, senza contare che il cavallo vincitore di ben 15 gran premi a fine carriera gli fruttò fior di miliardi, all’epoca, venduto ad allevatori giapponesi per la riproduzione) – coltivava, infatti, una smodata passione per gufi e civette.
Li riteneva portatori di fortuna: veri e propri amuleti. Ad ogni partita dei biancorossi il “sor Luciano” saliva in tribuna d’onore con uno o più di questi animaletti (fatti in pannolenci ed altri tessuti leggeri) e li lanciava in campo, prima del fischio d’inizio o a fine gara. Ne regalava anche, a piene mani, come augurio di felicità e di buona ventura. La civetta, secondo il mito greco, compariva accanto ad Atena e rappresentava la sapienza, la saggezza, addirittura la filosofia.
Gaucci – non si sa da cosa provenisse questa sua profonda convinzione – la considerava, invece, portatrice di prosperità e di eventi favorevoli. E se ne circondava.
Elio Clero Bertoldi
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