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Benedetto XI ucciso dai fichi delle monache

di | 2018-10-31T13:01:33+01:00 4-11-2018 6:20|Cultura, Sezione 5|0 Commenti

PERUGIA – La morte misteriosa di Papa Benedetto XI gira intorno ad un vassoio d’argento ricolmo di fichi e di fiori. Cronisti e storici fanno seguire il rapido ma doloroso decesso del pontefice alla consumazione di questi frutti, di cui pare che il successore di Pietro fosse particolarmente goloso. L’abbuffata è documentata: ma Benedetto XI spirò per una semplice indigestione seguita da violenta dissenteria e dunque di morte naturale o i fichi furono lo strumento, apparentemente innocuo, di una atroce, quanto arcana, congiura?

Il Papa – Niccolò di Boccassio (nell’immagine a sinistra) nato a Treviso o a Valdobbiadene nel 1240 – in pochi mesi di pontificato, otto per la precisione, era riuscito a farsi molti nemici: tra i più agguerriti il partito filofrancese (capeggiato da Guglielmo de Nogaret (in basso, a destra), cancelliere di Filippo IV il Bello e protagonista dello “schiaffo di Anagni”, cioè il sequestro, durato tre giorni, di Bonifacio VIII, che ne morì nel volgere di 72 ore); la potente famiglia dei Colonna ed i suoi cardinali sempre attivi per far prevalere nella Curia romana gli interessi, economici e territoriali della propria casata; i francescani Spirituali spinti da motivi di carattere squisitamente religioso, visto che propugnavano una Chiesa povera ed evangelica; i ghibellini fiorentini in feroce contrasto fra loro. Solo per citarne alcuni.

Tutti descrivono Benedetto XI come un sant’uomo e tanto che, qualche secolo più tardi, venne proclamato Beato. Ma lui, figlio del notaio trevigiano Boccassio, di umili origini e entrato nell’ordine domenicano, non aveva un peso specifico particolare, né le qualità di un politico astuto ed esperto, né la personalità forte e l’energia del suo predecessore – era stato Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, ad averlo nominato cardinale e lui gli era sempre rimasto fedele, tanto da prenderne il nome al momento della elezione – per tener fronte a tanti e potenti nemici.

Già lettore di teologia a Treviso, Venezia e Genova, era stato eletto maestro generale dell’Ordine dei Domenicani nel 1296. Poco dopo era stato inviato come legato pontificio nelle Fiandre per mettere fine alla guerra tra Filippo IV di Francia e Edoardo I d’Inghilterra (ne scaturì, a Tournai, una tregua). Proprio Bonifacio VIII nel 1298 lo creò cardinale. E in questa veste fu inviato in Ungheria per facilitare l’ascesa al trono di Carlo Roberto d’Angiò. Nelle ore terribili ed angoscianti di Anagni, Nicola di Boccassio, restò al fianco – e testimone diretto – del Papa umiliato e dileggiato. Esperienze importanti ma che non gli servirono, purtroppo per lui, al momento della sua ascesa al soglio pontificio, per restituire al Papato il suo ruolo, la sua credibilità, la sua autorità.

Poco dopo la sua elezione un tumulto di popolo, scatenato come al solito dai Colonna, lo costrinse ad allontanarsi in fretta da Roma e a cercare tranquillità a Perugia, dove arrivò nell’aprile del 1304. Narrano le cronache che proprio nel capoluogo umbro incontrò la sua anziana madre, più che ottantenne, che non vedeva da lustri. La donna, per l’occasione, si sarebbe messa in ghingheri, forse più per non far sfigurare il nuovo pontefice che per vanità personale. Ma lui finse di non riconoscerla. Solo quando donna Bernarda si presentò con vesti meno pompose, il pontefice la riconobbe e l’abbracciò.

Sul piano politico, però, la sua scaltrezza non funzionava altrettanto bene come nella vicenda dell’incontro con la madre. I tentativi di placare i partiti che gli erano avversi non si rivelarono idonei: tolse la scomunica agli aggressori francesi e italiani, re di Francia compreso, di Bonifacio VIII (ma non al Nogaret); perdonò gli Spirituali (e tra questi anche Jacopone da Todi, che si era beccato la scomunica per aver sottoscritto il Manifesto di Lunghezza contro Bonifacio, ritenuto dal battagliero frate tuderte un male esiziale per la Chiesa), tuttavia i malumori non si assopirono; non gli riuscì il tentativo di pacificazione tra Bianchi e Neri fiorentini, che anzi temevano di venire, anche loro, colpiti dall’anatema papale, nonostante Corso Donati e altri esponenti della sua parte, fossero accorsi a Perugia dopo la perentoria convocazione del pontefice.

In quel luglio del 1304 Benedetto XI aveva 64 anni ed appariva in discreta salute. Appena pochi giorni prima, il 29 giugno, aveva licenziato la bolla “Flagitiosum scelus”, con la quale ordinava al Nogaret e ai colonnesi di comparire di fronte a lui per la dolorosa vicenda di Anagni. Da diversi anni a Perugia dimorava anche il cardinale Iacopo Colonna, ben inserito nei giochi di potere perugini, fratello dei due cardinali della sua casata, finiti sotto scomunica.

Il pontefice – l’unico di quel periodo di cui Dante Alighieri non parli male – accettò senza sospetti il dono dei fichi inviatogli dalla Badessa del monastero cistercense di Santa Petronilla, di via Eugubina (i cistercensi venivano da Citaux, Francia). A recargli il dono – riporta Annibale Mariotti – un garzone delle monache, vestito da donna e velato in volto. E già questo singolare travisamento, se vero, lascerebbe più di un qualche generico sospetto.

Il Corio, nella sua Storia di Milano, aggiunge che il Papa fu “intossicato da un fico col diamante”. A quei tempi, in verità, era famosa e dettava legge la cosiddetta “acquetta perugina”, un veleno potentissimo, pare inodore e insapore.

Di fatto dopo l’indigestione di fichi Benedetto XI cadde malato e morì. Era il 7 luglio 1304.

Il monastero di Santa Petronilla, che aveva ospitato prima i monaci che lo avevano fondato e poi le monache dello stesso ordine, qualche tempo dopo, venne chiuso e la struttura rivenduta al capitano Francesco della Rosa. Dietro l’alienazione e l’allontanamento delle monache, il fumus del dubbio che da lì fosse partita la spietata congiura?

Se i fichi erano stati davvero avvelenati più che le monache e la Badessa, gli indizi portano o ai fiorentini, cinici e sbrigativi; o ai Colonna, facinorosi e spietati; o, più ancora, alla regia del Nogaret, maestro nel tessere e nell’ordire piani scellerati, in nome proprio o per conto del suo protettore e dominus, Filippo il Bello (in alto, a sinistra).

Solenni i funerali e splendida, in San Domenico, la sua tomba, esempio luminoso dell’arte gotica in Italia, che il cardinale Niccolò di Prato, secondo la tradizione, avrebbe affidato a Giovanni Pisano, ma più probabilmente opera di un seguace di Arnoldo di Cambio o di Lorenzo Maitani.

Il tutto mentre i cardinali si riunivano in conclave in San Lorenzo per eleggere il nuovo Papa. Servirono, anche stavolta, lunghi mesi di votazioni e di trattative per trovare il candidato giusto e alla fine la spuntò il partito filofrancese: venne eletto infatti Bertrand De Got, con il nome di Clemente V, il pontefice che spostò la sede del papato in Francia. Settanta anni durò l’esilio avignonese.

Anche al Papato, e non solo a Benedetto XI, quei fichi risultarono indigesti.

Elio Clero Bertoldi

Nella foto di copertina, la Perugia di allora dipinta da Benedetto Bonfigli

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