/, Sezione 3/Beatrice Cenci, eroina non ancora riabilitata

Beatrice Cenci, eroina non ancora riabilitata

di | 2022-07-01T17:39:32+02:00 3-7-2022 6:10|Personaggi, Sezione 3|0 Commenti

ROMA – Ha ispirato tantissime opere letterarie e musicali, film e la tradizione popolare le tributa da sempre una grande ammirazione. La sua figura di eroina ha ispirato e affascinato artisti di tutti i tempi dal 1599 mentre ogni anno il primo giorno di settembre, quando ricorre la sua morte, il suo fantasma si aggira per Ponte Sant’Angelo, a Roma, dove davanti ad un pubblico gremitissimo, fu decapitata dopo un orribile processo.

Beatrice Cenci

Beatrice Cenci, una ragazza di 22 anni, era stata giudicata colpevole per aver ucciso suo padre dopo anni che ne sopportava le incestuose attenzioni e la violenza. Tutto ciò avveniva, lontano dalla corte papale, a Petrella Salto, un borgo che dal XII secolo ancora domina la Valle del Salto, nel Cicolano, in provincia di Rieti. Ma Beatrice apparteneva alla nobiltà romana e a Roma era nata. A Petrella, dove ancora esistono i ruderi del castello, trascorse la sua prigionia insieme alla matrigna (seconda moglie del padre), e al fratello, che furono suoi complici nell’uccisione di quell’uomo violento e per questo furono tutti condannati a morte. Francesco Cenci, infatti, nonostante fossero note la sua dissolutezza e la sua violenza, ebbe sempre un trattamento di riguardo da parte della Chiesa essendo tesoriere dello Stato Pontificio. I suoi privilegi rimasero in vigore anche quando furono chiari l’incesto e le violenze perpetrate ai danni della figlia e della moglie.

La targa in ricordo di Beatrice Cenci

Dopo anni di angherie e stupri, sevizie di ogni genere, le due donne con l’aiuto del fratello di Beatrice, Giacomo, e del suo amante, riuscirono ad uccidere il loro aguzzino ma ciò non bastò loro per ottenere la libertà. Un’inchiesta sul cadavere del morto portò gli inquirenti ad indentificare le due donne come mandanti dell’omicidio di quel padre-padrone, nonché i due uomini come complici. Il racconto delle violenze subite da parte di Beatrice e dalla sua matrigna non servirono a giustificare l’uccisione di quell’orco. La chiesa non sentì ragioni: Beatrice era una parricida e come tale doveva essere condannata a morte in modo esemplare. Papa Clemente VIII spinse molto per la condanna di tutti gli imputati, e non a caso: una volta “sterminati” con la efferata sentenza tutti i componenti della famiglia, fu suo nipote Gianfrancesco Aldobrandini a mettere le mani su tutta l’eredità dei Cenci.

Il primo settembre 1599 i condannati furono portati al patibolo. Già morto in altre circostanze l’amante di Beatrice, per il fratello fu decretato lo scorticamento da vivo mentre per lei e la matrigna la ghigliottina, che fu allestita a Roma, nei pressi di Ponte Sant’Angelo, dove la scena potesse essere vista da più persone possibile. La biografa Alexandra Lapierre racconta in tutti i particolari quel macabro spettacolo ma anche quell’impietoso processo e l’accanimento dei giudici che fecero di questa giovane donna la “prima martire della Roma Papalina”. Il meccanismo della giustizia fu inflessibile verso di lei e i suoi complici, ma ciò non è riuscito a condizionare la memoria popolare che ha sempre visto in questa donna il simbolo del riscatto femminile dalla prepotenza maschile anche se la sua forza morale e il suo coraggio niente poterono contro il bigottismo della mentalità cattolica.

Beatrice Cenci al patibolo

Due artisti erano presenti al macabro spettacolo della decapitazione di Beatrice, ne rimasero colpiti per l’atteggiamento altero e dignitoso oltre che traumatizzati dalla violenza dei fatti. Entrambi, anni dopo, avrebbero “risentito” nelle loro opere di questo episodio. I due erano Caravaggio e Artemisia Gentileschi ancora bambina, ma che sarebbe stata anche per questo un’antesignana dell’emancipazione femminile. Entrambi realizzarono poi un ritratto di “Giuditta con la testa di Oloferne” con precisi rimandi alla decapitazione di Beatrice Cenci. Se però il sublime pittore romano nel suo quadro fa uno splendido e macabro resoconto fondendo nella figura di Giuditta anche la sua futura decapitazione, Artemisia nella sua versione del racconto biblico mostra un coinvolgimento personale: la sua eroina, nel mostrare la testa decapitata del suo aguzzino Oloferne, ha un’espressione sadica. Secondo i critici il terribile spettacolo del patibolo cui assistette da bambina, unito poi allo stupro che essa stessa subì, la portarono ad una doppia identificazione personale con le due eroine con le quali si sentiva vicina per aver avuto una comune esperienza.

Come che sia, la stella di Beatrice non accenna ad offuscarsi, anzi. Da parte della Chiesa, tuttavia, nessun passo indietro né tentativi di riabilitazione per la giovane nobildonna condannata solo per essersi difesa da un uomo che la violentava ed era anche suo padre. Quando, a inizio ‘900, fu presentata una richiesta per intitolarle una via i cattolici si opposero perché su di lei è rimasto il marchio di parricida, che sembra essere indelebile per certi ambienti. Solo nel 1999 il Comune di Roma ha collocato una targa che la ricorda come “vittima di una giustizia ingiusta”. Il suo corpo è sepolto nella chiesa di San Pietro in Montorio. Il fantasma, però, continuerà a aggirarsi per Roma e nei boschi di Petrella finchè il suo nome non sarà sinonimo di libertà e scevro dai pregiudizi di una cultura vecchia e maschilista.

Gloria Zarletti

Nell’immagine di copertina, “Giuditta con la testa di Oloferne” di Caravaggio che ricorda la storia di Beatrice Cenci

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi