MILAZZO (Messina) – Il luogo della Battaglia di Milazzo esiste ed è la chiesa di Santa Maria Maggiore. Il promontorio della Sicilia occidentale, che guarda al mar Tirreno, fu luogo della leggendaria battaglia di Milazzo, in cui si narra, che l’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi si fermò a riposare e a mangiare pane e cipolla, addormentandosi stremato, sulla scalinata della chiesa. Oggi una targa è affissa sulla facciata dell’edificio, a ricordo di quell’episodio.
Correva l’anno 1860, quando si svolse il 20 luglio, quel furioso combattimento, l’ultimo e decisivo scontro che venne combattuto, in Sicilia, tra l’esercito dei Mille e quello borbonico. Le camicie rosse garibaldine vinsero, mettendo i Borboni in fuga dall’isola. Milazzo, 161 anni fa, contava diecimila abitanti circa, contro i trentamila di oggi e vi sono ancora tracce commemorative del passaggio della spedizione, in alcuni punti della città. I garibaldini erano circa seimila uomini, provenienti da ogni regione d’Italia. Veterani, volontari dell’ultima ora, giovani e non, così diversi eppure tutti accomunati dallo stesso ideale – con il loro comandante Garibaldi, nella zona di Milazzo, puntarono al Castello, che era la roccaforte delle truppe borboniche guidate dal colonnello Ferdinando Beneventano del Bosco.
Il castello di Milazzo è un’imponente costruzione che domina su terra e mare, stagliandosi in una visuale invidiabile, perché guarda a levante e ponente del promontorio, fino a raggiungere con lo guardo il capo di Milazzo: il castello è attualmente visitabile, dopo anni di ristrutturazione. All’alba del 20 luglio, Garibaldi ordinò ai suoi uomini di attaccare il nemico. I borbonici avevano senz’altro un equipaggiamento militare qualitativamente superiore, ma dovettero far fronte al numero quasi doppio di garibaldini e alla loro audacia. Fu in questo frangente infatti che alcuni degli uomini di rosso vestiti si distinsero in veri e proprio atti di eroismo.
Quando iniziò la battaglia, la città era deserta: gli abitanti, per timore di rimanere coinvolti nell’inevitabile scontro, avevano cercato rifugio nelle grotte del Capo, o addirittura si erano trasferiti sulle proprie barche. Stefano Zirilli, notabile di Milazzo – era stato anche sindaco – e che quel giorno fu in prima linea, fianco a fianco con gli altri patrioti come lui, parlò di “una città galleggiante”. L’attacco venne portato in più punti, così da disperdere le truppe borboniche; decisivi per le sorti della battaglia furono gli scontri che si svolsero nella zona dei Mulini e della Tonnara.
Dopo un primo violento impatto tra gli schieramenti, Garibaldi si rese conto che la situazione stava diventando difficile, con gli avversari che ben resistevano ai tentativi di sfondamento. Decise quindi di concentrare gli sforzi nella parte destra del fronte, nei pressi della costa orientale del promontorio. Qui l’avanzata dei volontari si fermò ai Mulini, dove una postazione di cannoni bloccava ogni tentativo di proseguire. Quattro di queste armi pesanti, terrore della fanteria, erano infatti ottimamente mimetizzate dietro alcuni muri a secco, dai quali sparavano attraverso delle feritoie. Un giovane volontario, Alessandro Pizzoli, del nord Italia, gridò verso i nemici, attirando così il fuoco dei pezzi d’artiglieria. Falciato da questi, diede però modo ai commilitoni di approfittare della distrazione dei borbonici, che vennero immediatamente sopraffatti dall’impeto della carica garibaldina.
Da qui le truppe di Bosco ripiegarono di qualche centinaio di metri, fino alla Tonnara. Altri garibaldini si resero protagonisti: alcuni fecero da scudo umano per proteggere un prezioso cannone appena conquistato; altri, come Missori e Statella, difesero con coraggio Garibaldi, trovatosi appiedato e circondato dalla cavalleria nemica. Il Generale infatti, insieme ai suoi uomini, si ritrovò ad affrontare una temibile carica borbonica, guidata dal capitano Giuliani. Proprio questi affrontò, forte del suo destriero, Garibaldi, tentando di colpirlo con una sciabolata. Però l’eroe di Nizza si scansò e con la punta della sua lama tagliò la gola al nemico.
Garibaldi darà il “colpo di grazia” alle truppe borboniche al Ponte di Milazzo. Sotto un sole cocente, dopo alcune ore di attesa per paura di imboscate, Garibaldi entrò a Milazzo, accolto dalla folla festante riunitasi a Piazza Caio Duilio. La festa proseguì fino a notte inoltrata, con bevute e canti per le strade. Il Generale, appena seppe del comportamento di alcuni uomini, che si stavano rendendo protagonisti di saccheggi, diede ordine di farli catturare. Portati al suo cospetto circa sessanta individui, disse: “Trascinateli lontano da me e fucilateli come tanti cani”. Ma, mentre l’ordine si apprestava ad essere eseguito, non senza remore da parte dell’ufficiale incaricato, Garibaldi cambiò idea e fece semplicemente mettere agli arresti gli sciacalli.
Il 21 luglio gli scontri continuarono, anche se in tono decisamente minore. Intanto, il colonnello Bosco si era barricato nel Castello, rifiutando la resa, alla quale verrà costretto il 22 luglio, dopo l’arrivo di altre navi a rinforzo dei garibaldini. Oltre seicento furono i morti tra le camicie rosse. Molti dei luoghi citati sono esistenti ancora oggi, tutti più o meno corredati da targhe o iscrizioni. Così dello stesso Garibaldi, a Milazzo, più che all’eroismo e agli ideali di libertà, il ricordo è legato agli aneddoti che fanno parte della storia della città.
Claudia Gaetani
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