Furono chiamati “baby boomer”, Anzi, fummo chiamati visto che anche chi scrive appartiene a quella fascia che comprende coloro che nacquero tra il 1946 e il 1964. Insomma, la generazione nata dopo la guerra a cavallo di anni di grande (e irripetuta) crescita. Non solo economica (soltanto la Germania faceva meglio dell’Italia a quel tempo), ma anche culturale e sociale. I nostri padri e i nostri nonni, dopo due terribili e devastanti conflitti nell’arco di appena un trentennio, ci stavano consegnando un Paese sulla strada della modernità, nettamente migliore di quello che a loro volta avevano ereditato.
Maria Luisa Agnese, settantacinquenne giornalista genovese che ha diretto e condiretto i più importanti settimanali italiani, ha scritto “Anni Sessanta” (edito da Neri Pozza per la collana “I colibrì”, sottotitolo “Quando eravamo giovani”), realistico affresco di quell’epoca, caratterizzata da straordinari cambiamenti, oltre che da palpabili sogni, molti dei quali andati purtroppo delusi, se non traditi. Eravamo certi che nulla potesse essere precluso, anche per noi che vivevamo a Taranto, città emarginata e periferica che anch’essa agli albori di quel decennio conobbe il benessere con la nascita dell’Italsider, la grande fabbrica dell’acciaio che portò posti di lavoro e sviluppo, fino ad allora legato esclusivamente ai cantieri navali, all’arsenale militare e all’indotto derivante dalla massiccia presenza della Marina. Solo diversi anni dopo ci accorgemmo che quell’insediamento produttivo portava anche veleni, malattie e morte…
Nel 1964 il presidente del Consiglio Aldo Moro inaugura l’Autostrada del Sole, il primo collegamento veloce tra il Nord e il Sud. Una vera rivoluzione che permette spostamenti rapidi e più sicuri. Ai primi di agosto, le grandi industrie di Milano e Torino chiudono per ferie e quindi si parte. Chi aveva risalito la Penisola su affollatissimi treni a caccia di lavoro con il volto rigato dalle lacrime e con le immancabili valigie di cartone, fa il percorso inverso per le vacanze (ma allora si diceva villeggiatura) o per tornare al paese di origine. La Riviera romagnola diventa la meta preferita e ambita da parte del ceto operaio e anche di quello medio; gli intellettuali (quelli con la puzzetta sotto il naso) preferiscono altro: Forte dei Marmi e Sabaudia, soprattutto; i ricchi optano per Capri o il Lido di Venezia.
In ogni casa arriva la lavatrice (“che avrebbe rivoluzionato la vita delle mamme”, scrive Agnese), ma anche la minigonna e la pillola anticoncezionale (“che avrebbe rivoluzionato quella delle figlie”). Il televisore, autentico status symbol e primo fortissimo aggregatore sociale (indimenticabili le serate davanti al piccolo schermo per seguire il mitico “Lascia o raddoppia”, telequiz condotto da Mike Bongiorno), è ormai un elettrodomestico alla portata di tutti: c’era un solo canale, i programmi coprivano solo una piccola porzione di ore e aveva lo stabilizzatore per evitare che eventuali sbalzi di corrente potessero rovinarlo. Nel ’66, scoprimmo quanto si potesse soffrire per i colori azzurri: un giocatore nordcoreano, tale Pak Doo Ik, che nella vita faceva il dentista, segnò e ci buttò fuori dai Mondiali di calcio in Inghilterra. Per fortuna ci rifacemmo nel 1970 con l’indimenticabile Italia – Germania 4-3, semifinale del Mondiale in Messico
In famiglia arrivò anche la prima auto: era una Seicento ed era targata TA 33502. Ci sembrava un Suv e permise spostamenti più comodi, andando a sostituire il treno (rigorosamente in seconda classe) che aveva costituito fino ad allora l’unico mezzo di trasporto. Era ormai arrivato il ’68, ma chi all’epoca frequentava solo il quarto ginnasio in un liceo di Taranto onestamente si accorse poco dei grandi cambiamenti in atto. Piuttosto, il decennio che si era aperto con le Olimpiadi di Roma si chiuse di fatto nel 1969 con un evento epocale: lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Anche quello vissuto in diretta davanti al piccolo schermo con Ruggero Orlando e Tito Stagno che battibeccavano sul momento in cui realmente Neil Armstrong avesse toccato il desolante suolo lunare. A dicembre, poi, la strage di Piazza Fontana con i morti nella sede della Banca dell’Agricoltura fece comprendere che i favolosi Anni Sessanta erano finiti davvero e che cominciava un altro tempo, caratterizzato da violenze e tensioni crescenti che culminarono 9 anni dopo con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta.
Il quaderno dei ricordi è infinito e andrebbe sfogliato con calma. Una verità si può affermare con una buona dose di certezza: noi adolescenti e giovani di quegli anni volevamo cambiare il mondo e in larga parte non ci siamo riusciti. Consegniamo ai nostri figli e nipoti un futuro assai denso di incognite, va detto senza reticenze. L’unica consolazione è che il mondo con i suoi tumultuosi cambiamenti (ai quali ci siamo necessariamente adeguati) in consistente misura non è riuscito a cambiare noi.
Buona domenica.
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