PALERMO – “Stinnuto sullo scannaturi”, pomodoro rosso (siccagno), sale e sole, tre giorni di lavoro e mani esperte della tradizione siciliana: sono gli ingredienti per l’astrattu, estratto, non un concentrato di pomodoro, che si fa per uso domestico, non viene commercializzato molto, qualche azienda lo produce, in vasi da 200 gr. e il prezzo non è proprio economico. Il pomodoro siccagno è tipico della Sicilia occidentale, coltivato in zone montane con pochissima acqua (è sufficiente l’umidità dell’aria), è di piccole dimensioni, messo a dimora da marzo ad agosto, per un sapore antico, un rito, un momento di condivisione da tramandare.
Questa preparazione, secondo la tradizione, è una storia di donne e una storia tutta siciliana: alla fine di ogni estate, si racconta che le donne si riunissero in gruppo per preparare u strattu, simbolo della loro femminilità e dei cicli lunari, tutta la comunità collabora e sceglie il momento giusto, perché non ci deve essere vento di scirocco, né pioggia, ma sole ininterrotto, caldo secco. I pomodori si fanno asciugare al sole per far evaporare l’acqua, poi la lunga preparazione, facendoli stringere nella ‘quarara’ (recipiente in terracotta di antiche origini contadine). A Carini nel palermitano c’è Giusy Musso, titolare del B&b “La casa di Evita” e ha un’associazione locale, con la quale pensa di fare turismo esperienziale; ad Aspra, un comune di poco più di 5mila abitanti, frazione di Bagheria (Palermo) c’è Pina Balistreri intervistata da “Il Gambero Rosso”. Qui l’astrattu è fatto ancora a mano ed è raro e prezioso (ne ha parlato lo scrittore Ferdinando Scianna nel libro ‘Ti mangio con gli occhi’).
Nei paesi in questo periodo si vedevano le stese lungo la strada, oggi con il traffico veicolare non è più salutare e si usano terrazze e balconi assolati e tutto si colora di rosso. Si stende la mattina rimestando sulle “maidde” (tavole di legno di faggio), con le mani si fanno disegni che lasciano spazi liberi e si gira, consentendo al pomodoro di diventare sempre più denso, la sera lo si fa rientrare. La preparazione è affascinante, preziosa, è una pratica antica portata avanti dalle donne della zona, ma era un rito anche per gli uomini, che rinunciavano ad andare al mare per aiutarle. Il concentrato invece si fa con i pomodori cotti. La differenza è nel sapore e nel colore.
Pina spiega il procedimento ancestrale: “Si prendono i pomodori, si toglie il peduncolo verde e si lavano la sera prima. Si lasciano nei cestelli per tutta la notte per togliere l’acqua. La mattina dopo si tagliano a pezzetti piccoli, si mettono nelle bacinelle e si frantumano con le mani, fino a quando non diventano una poltiglia”. A quel punto si passano al passaverdure, quello a manovella, che non lascia grumi. Con il rimestare, il sole e l’aggiunta di sale (100 grammi di sale per 10 chili di pomodoro), la salsa liquida pian piano perde l’acqua in eccesso e si trasforma in una salsa morbida e asciutta, modellabile. Anche il legno fa la sua parte assorbendo l’umidità, le garze proteggono da mosche e insetti. Finita questa operazione che richiede cura, l’astrattu si ripone su una tavola più piccola e si mette al fresco per altri due giorni.
Nei vari passaggi evapora il sale residuale e altre sostanze non gradite. “Non lo so di preciso per quale motivo, ma si faceva così per tradizione e io continuo a farlo”. Quando è pronto, si bagnano le mani con l’olio, si raccoglie l’astrattu nei grandi barattoli di vetro, facendo attenzione che non si formino bolle d’aria, con sopra solo un tovagliolo bianco ricoperto di sale, si conserva in frigo per due anni. L’astrattu può essere utilizzato nella preparazione di piatti tradizionali: ’a pasta c’anciova, i milincianeddi ammuttunati (le melanzane piccole ripiene), ’a pasta ch’i vruocculi arriminati (la pasta con i broccoli), i purpetti ri sardi (polpette di sarde), a tunnina ammuttunata (il tonno farcito), ’a pasta ch’i sardi (la pasta con le sarde), per colorare la pasta con fagioli e scarola, carni e sughi a lunga cottura, rafforzare la salsa di pomodoro, può essere aggiunto direttamente alla preparazione in fase di cottura o sciolto in un po’ d’acqua.
E questa sì che è veramente ‘Cosa nostra’, quella buona, che fa della Sicilia e dell’Italia intera, uno scrigno prezioso di tradizioni culinarie, di metodi di conservazione antichi, che non possiamo e non dobbiamo perdere. I riti richiedono tempo, pazienza, amore, condivisione.
Francesca Sammarco
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