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Arte e psicologia, così Jung indaga sull’uomo

di | 2022-11-11T12:08:50+01:00 13-11-2022 6:40|Cultura, Sezione9|0 Commenti

MILANO – Un piccolo libercolo tra le mani emana profumo di vecchio, è di quel colore vanigliato delle edizioni più antiche. Un libro, un breve saggio e si entra in un mondo nuovo sconosciuto. E’ il 1922 e ad una conferenza, tenutasi a Zurigo, il relatore fu Carl Gustav Jung, psichiatra, psicoanalista, antropologo, filosofo e accademico svizzero. Nel suo intervento nell’ambito della conferenza, intitolata “Psicologia e poesia”, Jung filosofeggia sull’importanza dell’arte, in particolare spiegò che “la potenza dell’impulso creativo artistico proviene dall’inconscio, e ci mostra quanto esse sia irregolare e dispotico”.

Jung studia la psicologia analitica e l’arte poetica spiegando che “l’opera non creata è nell’animo dell’artista, una forza naturale che si realizza o con potenza tirannica, o con sottile scaltrezza, senza tener alcun conto del benessere personale dell’uomo che porta in sé la forza creatrice. E’ una forza che vive e cresce nell’uomo, come un albero cresce nel suolo da cui assorbe il suo nutrimento. Il poeta è dunque preso dall’impulso creativo, da non ricordare di aver voluto qualcosa di diverso nella realizzazione della sua opera”. Per Jung il vero artista e poeta è un tutt’uno con la sua ispirazione e anche se crea coscientemente e liberamente non potrà scindere la propria volontà, dall’ispirazione. Jung nella sua conferenza prende ad oggetto le opere come il “Faust” di Goethe e “La divina commedia” di Dante Alighieri per desumere che tali poeti e artisti erano presi fin dal loro inconscio dell’arte che narravano.

“Egli (l’artista) vuole rappresentare ciò e non altro. Il poeta è un tutto unico con il processo creatore” tanto da mettersi a capo di tale processo o letteralmente soccombere. Jung è enfatico nella sua narrazione e si distacca dal fare un’analisi psicologica dell’opera, come di contro analizza Freud, perché essa è l’esito di un processo inconscio. Jung, come noto, iniziò la sua attività nel 1900 nel famoso ospedale «Burghölzli» di Zurigo, sotto la guida di Eugen Bleuler, uno dei grandi maestri della psichiatria dinamica, ha sempre invitato i suoi pazienti a dipingere – disegnare – scolpire – danzare, ma egli stesso disegnò, dipinse, scolpì, intagliò il legno, progettò architetture con la maestria e la versatilità di un artista rinascimentale. Pochissimi, tuttavia, ne conoscevano il talento fuori del comune, perché egli decise di non rendere pubbliche le sue opere. L’ha sempre fatto, sia per sé che in ambito terapeutico, con il proposito di fondo di riuscire a dare una forma visibile e osservabile a contenuti interiori e fantasie con le quali, proprio grazie a questa concretizzazione esterna, sarebbe poi stato più semplice stabilire una relazione psicologica significativa.

A tal proposito, ripensando ad anni che per egli sono stati cruciali come quelli che sono andati dal 1913 al 1919, ha osservato: “Finché riuscivo a tradurre le emozioni in immagini e cioè a trovare le immagini che in esse si nascondevano, mi sentivo interiormente calmo e rassicurato. Se mi fossi fermato alle emozioni, allora forse sarei stato distrutto dai contenuti dell’inconscio”. E già ciò dà l’idea di quanto Jung potrebbe essere considerato per alcuni versi un pioniere dell’arteterapia, tuttavia sapeva che il solo dare un’immagine di per sé e il raggiungere una comprensione senza implicazioni non sarebbero stati sufficienti ad evitare una certa frammentarietà psichica. E tale lucidissima consapevolezza dà un’idea ancor più stringente di quanto psicologia e arte per Jung avessero un legame ancora più profondo. Il metodo junghiano dell’immaginazione attiva discende proprio dall’esigenza di andare oltre il solo rapporto artistico con l’immagine, perché esso cerca di costruire un terreno psicologico che possa favorire un confronto, anche diretto e forte con il contenuto.

Jung ha percorso un passo in più nell’indagare il rapporto tra arte e psicologia perché, rispetto ad altri studiosi che riuscivano a considerare l’arte solo in relazione ad una cura di sintomi, egli ha ritenuto l’arte e la creatività assolutamente basilari ai fini di una crescita/evoluzione della totalità della personalità più in generale. In altre parole, una relazione psicologica significativa per Jung, come può esserlo quella con un contenuto dell’immaginazione attiva, si estende oltre il momento di cura perché costituisce la base sulla quale sviluppare appieno le potenzialità intrinseche del Sé con cui si arriva al mondo. Jung, nel 2013, è stato esposto alla Biennale di Venezia, come un’artista che non voleva essere considerato tale. Nel senso stretto del termine, aveva tutte le qualità pittoriche e scultoree, ma per egli l’arte non aveva un valore in se per sé, ma in relazione al comprendere, al capire, al trovare la propria strada nella vita, al trovare la propria vocazione. L’arte aveva un senso, dal suo punto di osservazione, solo se parlava all’uomo, se riusciva a connetterlo, o a riconnetterlo, con il suo istinto creativo e più in generale con il serbatoio delle immagini archetipiche che evitano all’uomo quel senso di spaesamento che, anche secondo tanti altri pensatori, caratterizza l’uomo contemporaneo.

In una lettera inviata allo studente di filosofia Andras Horn nel marzo del 1958 lo studioso svizzero scrive: “L’arte è senza dubbio un’espressione assai complicata dell’anima umana. Essa è in primo luogo, come negli animali, il prodotto di un istinto corrispondente che – come tutti gli istinti – si basa su condizioni esterne e interiori. Nell’uomo, l’istinto della percezione interiore si esprime nella forma dell’archetipo. E’ questa la sua condizione interiore. La sua condizione esterna sta nel rapporto dell’artista con il suo ambiente e nei mezzi espressivi a sua disposizione”. Per Carl Gustav Jung l’arte fu l’amorosa compagna segreta di tutta la vita e l’opera d’arte è una produzione che va oltre l’individuo poiché il suo significato non è rinvenibile nella condizione umana che lo ha prodotto. “Per dare all’opera ciò che le è dovuto, è necessario che la psicologia analitica escluda completamente ogni pregiudizio di carattere medico, poiché l’opera d’arte non è una malattia è quindi richiede un orientamento del tutto diverso da quello medico”. Le pagine ingiallite scorrono velocemente tra le mani del lettore e dell’artista assetato per giungere alla conclusione junghiana che “l’opera d’arte è una produzione che cresce e va oltre l’individuo, comportandosi come un figlio verso la madre”. La psicologia della creatività genera propri figli e li dona al mondo.

Claudia Gaetani

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