NAPOLI – Epifania in greco significa apparizione ed è una parola che è sempre stata collegata alla manifestazione del divino nella tradizione cristiana. All’inizio era collegata non solo alla nascita di Gesù, ma anche al suo battesimo da parte di Giovanni Battista e al primo miracolo delle nozze di Cana, perché questi due episodi avrebbero manifestato la sua natura divina da adulto. Oggi però l’Epifania si festeggia solo all’arrivo dei saggi dall’Oriente con i loro doni (oro, incenso e mirra) davanti al bambino. Il battesimo di Gesù è stato invece spostato alla prima domenica successiva. La Befana, invece, viene da tutt’altra tradizione. La donna che vola su una scopa avrebbe a che fare con culti dell’antica Roma legati alla dea Diana, protettrice dei boschi e della natura, e a riti per la fertilità dei campi: donne volanti nelle notti dopo il solstizio d’inverno avrebbero portato prosperità dei raccolti. Le fonti su questo sono molto incerte.
In seguito, la Chiesa Cattolica volle limitare il significato della Befana attribuendole un’immagine più bonaria collegata alla storia dei Re Magi. Fu così che nacque la leggenda che diede poi origine alla “tradizione della calza della Befana” motivo per cui la festa dell’Epifania è ancora tra le preferite dai bambini. In origine il carbone veniva inserito nelle calze come ricordo dei falò della stagione invernale, successivamente come “punizione” per i bambini disobbedienti. Nel XII secolo si diffuse infatti la credenza che i Re Magi, in difficoltà nel cercare il luogo di nascita di Gesù chiesero informazioni ad un’anziana signora che si rifiutò di aiutarli e non volle seguirli per andare a visitare il “bambino”. La donna poi si pentì e dopo aver realizzato un cesto di dolci si mise alla loro ricerca ma non riuscendo a trovarli si fermava ad ogni casa donando dolciumi a tutti i bambini che incontrava. Da quel momento si diffuse l’usanza di lasciare fuori dalla casa gli scarponcini e le calze dei bambini affinché nel suo lungo viaggio la befana potesse cambiarseli o meglio augurandosi fossero riempiti di dolciumi.
Ma che c’entra la festa dell’Epifania, cristiana, con la befana ed altri riti e tradizioni? Come in altre situazioni (si pensi ad Halloween) assistiamo a fenomeni di “sincretismo” e di fusione tra festività cristiane e riti e tradizioni di origine molto più antiche e pre-cristiane ma comunque ben radicate nelle usanze delle persone, talmente ben radicate da non poter essere eliminate del tutto perché anche la cultura arcaica arricchisce quella contemporanea.
Al di là delle leggende o interpretazioni che si sviluppano nelle diverse tradizioni, la festa della befana deriva inesorabilmente da un fatto: un dono, semplicemente un dono, drammaticamente un dono non soltanto di beni ma di un Bene, oggettivamente di un Bene. Gratuito, inatteso, che spiazza, che riempie, che dà senso alla vita. Per questo drammatico, perché pone me, te di fronte ad un fatto: c’è qualcuno che si dona. La storia dei Re magi per come si struttura è alquanto commovente. Persone altolocate che rendono onore a Colui che solo può dare pienezza. Inimmaginabile in questi tempi (ma anche in quelli per la verità). Chi ha oggi l’umiltà di mettersi in discussione? Chi ha la capacità di porre un Altro al di sopra della propria persona, della propria vita? Ora come allora la festività dell’Epifania è donare, donarsi. Ora come allora è riconoscere una Presenza. Per questo l’Epifania è manifestazione, è testimonianza.
Ma cosa vuol dire offrire la propria vita? Nel concreto cosa significa dare, donare, regalare? Giussani sostiene che anche nel piccolo è “innanzitutto una risposta a Dio. È una risposta gratuita, senza calcoli o riserve. È l’unica risposta degna dell’offerta che Cristo stesso ha vissuto per noi. È il desiderio di corrispondere a un amore insperato che è entrato nella vita. È l’incontro con Dio presente, che diventa per tutti vocazione, chiamata. Offrire tutto. Pezzo per pezzo. L’offerta della nostra vita si svolge dentro ogni dettaglio del quotidiano”.
Concepire la festività dell’Epifania in questo modo sarebbe evidentemente più consono, più soddisfacente che non il riduttivo accontentare un fanciullo in trepida attesa. Anche se questo, in fondo, non toglie nulla all’origine del gesto. E’ forse la mancanza di significato dei gesti che si compiono, delle festività che si vivono, della vita che si dipana a rendere vacuo ogni nostro attimo. Non riusciamo più a soffermarci sul significato delle cose, della vita stessa perché non ne percepiamo il significato recondito, la parte più vera ma anche, purtroppo, per i tempi che viviamo, più nascosta. Anche una festività così come quella della “Befana” ha un suo perché, ha una sua motivazione, ha un suo significato più interessante. Peccato che, nel tempo, tutto si trasformi in occasione di speculazione economica e banalizzazione.
Innocenzo Calzone
Nell’immagine di copertina, i Re Magi raffigurati a Ravenna
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