ROMA – L’episodio colpì l’opinione pubblica e la stampa se ne occupò per mesi, tentando di sviscerare la vicenda nei suoi più torbidi meandri, cercandone una spiegazione o una giustificazione. Il delitto Casati Stampa, però, non ebbe movente che non fosse il malessere profondo dei suoi protagonisti, e fu la dimostrazione che la ricchezza può comprare tutto ma non può colmare il vuoto del cuore. Si parlò di amore, di gelosia, di tradimento: in realtà la storiaccia ebbe origine nella convinzione sbagliata in ognuno dei tre protagonisti che il sesso potesse sanare, acquistandolo o vendendolo, tutte le ferite. Ecco i fatti.
Il 30 agosto 1970 la polizia interviene in un lussuoso appartamento di via Puccini, in pieno centro a Roma, dove trova i cadaveri di Camillo Casati Stampa di Soncino (detto Camillino), rampollo di una nobile famiglia milanese, sua moglie Anna Fallarino e l’amante di lei Massimo Minorenti, tutti freddati da 6 colpi di fucile Browning n. 12. Quello che alla polizia si presenta come un tentativo di rapina o di sequestro finiti male si rivela subito come l’esito di un intrigo morboso di vite miserabili, ma l’antefatto di questo delitto si scopre essere ancora più pruriginoso. Anna Fallarino, una bellissima ragazza del sud che avrebbe voluto sfondare come attrice senza averne le doti, aveva visto nel matrimonio con Camillino, che l’aveva conquistata prendendo a pugni il suo ex marito, la possibilità di riscatto sociale dalla sua umile origine ma probabilmente era anche attratta da quel signore raffinato e gentile in cui aveva intravisto la possibilità di vivere una vita agiata frequentando il jet set milanese e della capitale. Una piccola Madame Bovary, insomma.
Ma lui non era il principe azzurro della fiaba né lei la principessa. Già dalla prima notte di nozze, infatti, Camillo le chiede di offrire il suo corpo al cameriere dell’albergo venuto in camera a portare la cena e lei si rende disponibile come lo sarebbe stata sempre, in seguito, con tutti gli uomini che lui le avrebbe proposto, di ogni estrazione sociale, aspetto fisico, età. Lui li pagava per questo “servizio” che doveva procurargli quel piacere di cui, ormai era chiaro, non era capace se non guardando sua moglie a letto con un altro. Camillo così si rivela per quello che è: non l’uomo raffinato, gentile e virile che lei aveva sperato ma un vojeur patologico e capriccioso che maltratta la servitù, volgare, con abitudini discutibili in privato ed in pubblico ma che paga e pure tanto.
Anna in un primo tempo accetta, prende il meglio di questa situazione. Frequenta l’ambiente cui si sentiva destinata, ha tutto ciò che vuole. E’ chiaro che il suo nobile marito è sessualmente patologico però diventa sempre più chiaro anche che le sue velleità sono difficilmente saziabili. Gli individui che Anna deve “incontrare” sono sempre di più mentre le richieste del marito diventano sempre più discutibili. Non amanti selezionati ma anche dei poveri diavoli che per 30mila lire avrebbero fatto di tutto, figurarsi rifiutare di accoppiarsi con una donna avvenente come Anna. Sulla strana coppia si diffondono leggende metropolitane, in gran parte poi confermate dalle indagini successive al misfatto.
Sull’isola di Zannone, dove i due si ritirano in vacanza, si dice arrivino frotte di nobili per partecipare ai festini e divertirsi con la bella signora mentre l’aristocratico marito se ne va a caccia. Fiumi di champagne e travestimenti fanno da cornice allo spettacolo. Ma lei, ad un certo punto, si rende conto di essere in un vicolo cieco. La sua vita ridotta a quella di una prostituta senza neanche prendere soldi per le prestazioni effettuate: giusto una mancia rilasciata ai suoi (si può dire) gigolò. La bella arrampicatrice sociale, delusa, se ne lamenta con una parente in lettere che sono state studiate e ristudiate per capire la psicologia di tutta questa losca vicenda. Le foto dell’epoca la ritraggono in pose ardite, spesso in costume mentre esce dall’acqua, un corpo levigato e forme aggraziate, occhiali scuri.
Ma anche quando il volto è interamente visibile lei non ha mai il sorriso, appare anzi, pensierosa, non serena. Il progetto di una vita molto chic fallito o, per lo meno, dirottato su un’altra strada meno brillante: essere la moglie di un nobile che per lei è, però, solo come un “pappone” che le trova i clienti. Il giochino si rompe. Ad un certo punto Anna, in uno dei festini organizzati per lei dal marito, incontra Massimo Minorenti, giovane e carino ma probabilmente non ne è innamorata. Le serve solo per arrivare al suo obiettivo: ottenere il divorzio con un testimone d’eccezione che potrebbe spaventare il conte recalcitrante a concederlo. I due gli danno appuntamento nell’appartamento di via Puccini e durante l’incontro gli svelano la loro relazione.
A questo punto esplode la follia: Camillo imbraccia il suo fucile e spara ai due amanti, poi si suicida. Fine della storia, o meglio dell’antefatto. Perché poi tutta la verità di questa vicenda torbida e malata viene svelata dalle indagini facendo emergere il retroscena morboso di cui si sarebbe parlato a lungo negli anni ‘70. Si parlò di amore, di gelosia, di raptus ma probabilmente niente di tutto questo fu all’origine di quanto avvenne in quell’ultimo giorno di agosto di cinquantadue anni fa. A parte il giovane Minorenti, che probabilmente fu trascinato quasi inconsapevolmente in questa bruttissima storia, a spiegare tutto questo può aiutarci forse l’ambizione e l’insoddisfazione, il culto delle apparenze che fa cercare nei soldi e nel piacere del corpo la cura al male dell’anima che, nei protagonisti, fu sicuramente profondo quanto sopra le righe è stata la loro vita. E poi, dopo, anche la loro morte.
Gloria Zarletti
Nell’immagine di copertina, il marchese Camillo Casati Stampa e la moglie Anna Fallarino
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