PALERMO – Ha compiuto 60 anni Amnesty International, l’organizzazione internazionale non governativa impegnata a promuovere e difendere in tutto il pianeta il rispetto dei diritti umani, sanciti il 10 dicembre 1948 nella Dichiarazione universale adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Fondatore e primo segretario generale di Amnesty è stato l’avvocato, attivista e filantropo britannico Peter Benenson che, appresa la notizia della condanna in Portogallo a sette anni di prigione di due studenti – responsabili solo di un brindisi alla libertà delle colonie portoghesi – il 28 maggio 1961 pubblicò una lettera nel giornale londinese The Observer, accompagnata dall’articolo del direttore “I prigionieri dimenticati”. Nella missiva, Benenson chiedeva ai lettori di scrivere anch’essi lettere a sostegno dei due studenti imprigionati e di altre persone incarcerate per le loro idee. L’adesione all’iniziativa fu enorme, tanto da costituire in una dozzina di paesi gruppi di sostegno alla causa dei due studenti.
Nacque così Amnesty International, diffusa oggi, a 60 anni di distanza, in oltre 150 nazioni, con più di sette milioni di soci sostenitori. Amnesty si batte in particolare a favore delle persone incarcerate per reati di opinione: donne e uomini privati della libertà per le proprie idee o il proprio credo politico o religioso o discriminati per l’orientamento sessuale. L’associazione si adopera anche per convincere i governi a modificare le leggi palesemente ingiuste e discriminatorie.
Le denunce e le azioni di Amnesty si fondano sull’accertamento dei fatti grazie ai ricercatori che operano sul territorio dove è commesso l’abuso. Tali collaboratori, in situazioni spesso assai difficili e avverse, raccolgono prove, registrano le violazioni, aggiornano i dati disponibili, tentano di parlare con le vittime.
Nell’ottica del pieno rispetto dei diritti umani, Amnesty International si oppone senza riserva a tutte le forme di tortura e alla pena di morte. Nel 1977 è stata insignita del Premio Nobel per la pace, per l’attività di “difesa della dignità umana contro la tortura, la violenza e la degradazione”. L’anno seguente le è stato assegnato il Premio delle Nazioni Unite per i diritti umani.
A cura del segretariato internazionale, viene pubblicato ogni anno l’Amnesty International Report, il rapporto sullo stato dei diritti umani nel mondo. Il penultimo rapporto (2019-2020), esamina in particolare la situazione dei diritti umani in sei macro-Regioni mondiali: Africa subsahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa orientale e Asia Centrale, Medio Oriente e Africa del nord. Tale rapporto ha denunciato i diritti umani violati dalle nazioni all’interno delle macroaree considerate, indicando sempre l’ambito particolare del diritto violato. Ad esempio, sono stati effettuate denunce su uccisioni illegali, sparizioni forzate, pena di morte, tortura ed altri maltrattamenti, uso eccessivo della forza, condizioni carcerarie, violenza contro le donne; nonché denunce sul mancato rispetto della libertà di riunione, della libertà di espressione, del diritto alla salute, del diritto all’infanzia, dei diritti dei rifugiati, dei migranti e richiedenti asilo, dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, dei diritti degli obiettori di coscienza…
Queste le nazioni dove si sono registrate le maggiori violazioni dei diritti umani: Arabia Saudita, Brasile, Cina, Egitto, India, Iran, Libia, Myanmar, Polonia, Repubblica Centrafricana, Russia, Siria, Somalia, Sudan, Turchia, Venezuela.
L’ultimo rapporto di Amnesty International (2020-21) ha evidenziato l’eccezionalità di un anno caratterizzato dalla pandemia, sottolineando che la mortalità da Covid-19 è stata incrementata dalle ampie diseguaglianze esistenti, e aggravata da sistemi sanitari indeboliti da tagli indiscriminati e da istituzioni internazionali rese più deboli nelle loro funzioni. In particolare, il Rapporto 2020-2021, che raccoglie informazioni da 149 nazioni, segnala vessazioni da parte delle autorità statali verso operatori sanitari nel 28% dei Paesi considerati; in altri 42 Paesi, inoltre, autorità governative hanno ostacolato e intimidito il personale sanitario.
L’ultimo rapporto di Amnesty evidenzia poi, nel 58% dei 149 Stati considerati, il perdurare di torture e maltrattamenti, con esiti mortali nel 28% dei casi. Tra le violazioni dei diritti umani, viene anche segnalato il rimpatrio forzato di migranti o rifugiati anche verso quei Paesi dove erano a rischio di persecuzione.
In Italia, Amnesty International è presente con circa 170 gruppi, oltre a una trentina di gruppi giovani, formati da soci in età scolare o universitaria. In Sicilia, una delle regioni più attive nell’impegno associativo, i gruppi sono una ventina. Il 21 novembre scorso, in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, per celebrare i 60 anni dell’associazione e simboleggiare la necessità che i diritti umani “mettano radici”, gli attivisti delle quattro sezioni presenti a Palermo hanno piantato un albero, un ginkgo biloba, all’interno del Parco dell’Uditore. Roberto Zampardi, responsabile della sezione palermitana n.243, ha ricordato ai presenti gli obiettivi dell’associazione, accanto alla sagoma in cartone di Patrick Zaki, il trentenne egiziano studente all’Università di Bologna, detenuto in condizioni disumane nel suo Paese dal 7 febbraio 2020 per reati di opinione.
Significativo, infine, il simbolo scelto da Benenson per l’associazione: una candela avvolta nel filo spinato. Scrisse il fondatore: “Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: ‘Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità’. Questo è anche oggi il motto per noi di Amnesty. Questa candela non brucia per noi, ma per tutte quelle persone che non siamo riusciti a salvare dalla prigione, che sono state uccise, torturate, rapite, o sono scomparse”.
Che la luce sui diritti umani sia sempre accesa, anche negli angoli più lontani, bui e nascosti del mondo.
Maria D’Asaro
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