AMATRICE (Rieti) – 24 agosto 2016: un devastante terremoto, quattro governi, quattro commissari (Errani, De Micheli, Farabollini, Legnini) e nel mezzo una pandemia. Cinque anni in cui la fede e la speranza sono state messe a dura prova, i telegiornali e le fotografie non rendono ciò che accadde quel 24 agosto e il 30 ottobre successivo: la polvere, gli odori, le grida. Le prime parole rilasciate alla stampa nella notte dall’allora sindaco Sergio Pirozzi furono maledettamente realistiche: “Amatrice non c’è più”. Ai soccorritori e ai giornalisti apparve uno scenario difficile da descrivere, impossibile da dimenticare, come il funerale delle vittime nella tensostruttura, con la statua del Cristo Morto, appesa con una corda dai Vigili del Fuoco, il reliquiario dell’orafo ascolano Pietro Vannini, l’effige della Madonna della Neve di Bacugno, issata su un basamento di sassi e detriti e l’omelia del Vescovo di Rieti Domenico Pompili: “La domanda ‘dov’è Dio?’ non va posta dopo, ma va posta prima e comunque sempre per interpretare la vita e la morte. Come pure va evitato di accontentarsi di risposte patetiche e al limite della superstizione. Come quando si invoca il destino, la sfortuna, la coincidenza impressionante delle circostanze. A dire il vero: il terremoto ha altrove la sua genesi…”.
Non uccide il terremoto, uccidono le opere dell’uomo, quelle non fatte e quelle fatte male. La Chiesa di Rieti è stata presente fin dal primo istante e le attività di questi cinque anni sono raccolte nella pubblicazione “Andare Oltre – L’azione della Chiesa nei luoghi del terremoto”, curata dall’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Rieti. “Non basta nascere, bisogna imparare a rinascere” fu l’omelia del primo anniversario; “Vale la pena di restare’ nel secondo; ‘Non conta da dove vieni, ma dove vai” nel terzo; “La ricostruzione non basta se non cambiamo noi” nel quarto. Quest’anno, nel quinto anniversario, don Domenico è stato ancor più incisivo con un’omelia rivolta ancora una volta all’uomo, al fedele, al politico, che parte dall’immagine dell’Apocalisse nel descrivere la città futura: “Possiamo spingere lo sguardo su queste ‘terre mosse’ dell’Appennino che, dopo anni di incertezza e di ritardi, sembrano avviate finalmente alla loro ricostruzione. Ora che la ricostruzione è partita, però, ci si accorge che non basta ri-costruire. Occorre, ancor prima, ‘costruire’ un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente: non limitarsi, cioè, a riprodurre le forme del passato, ma lasciarsi provocare dalla natura, che è creativa e aperta al futuro”.
E ancora: “Non si tratta, infatti, di un nostalgico recupero della dimensione bucolica, ma di un progetto di investimento economico e di sviluppo demografico, rivolto ad una parte dimenticata del nostro paese, che era tale ben prima del terremoto del 2016. Questi borghi, dunque, vanno ripensati perché sono oggi luoghi di grandi potenzialità. Ciò accadrà se stipuleremo un vero e proprio ‘contratto’ tra la città e la montagna. C’è un enorme debito, pensiamo all’acqua potabile, all’aria pulita, al cibo di qualità, al legno degli arredi che le città hanno maturato verso le aree interne e i loro piccoli insediamenti. È arrivato il momento di onorare questo ‘debito’ con un progetto di reciprocità economica. È necessario alla transizione ecologica vedere riconosciuto il debito straordinario che avremo verso chi, riabitando i piccoli centri e i borghi, si prenderà cura di un’agricoltura di qualità, dei boschi, del mare, dei laghi, delle coste, del paesaggio ancora bellissimo. Non abbiamo bisogno di nuovi presepi, ma di piccoli centri attivi”.
Partendo da un’indagine di Bankitalia sul ritardo infrastrutturale del Centro-Italia e al netto di una Via Salaria in via di definizione, don Domenico esorta alla costruzione della Ferrovia dei due mari “da progettare e realizzare qui, ora e subito”. Nell’immediato post terremoto la Chiesa di Rieti ha pubblicato il libro “Gocce di memoria” (ispirandosi proprio alla canzone di Giorgia), presentato nella tensostruttura di Torrita, con 249 tracce biografiche delle vittime di Accumoli e Amatrice. “Il ricordo è qualcosa di vitale, che non fa della memoria qualcosa di nostalgico, ma una presenza che incoraggia”. Le ricerche condotte da Sabrina Vecchi con il supporto di Roberta Giovannetti e Samuele Paolucci sono pennellate leggere e discrete, che in poche righe (come nel libro “Spoon River” di Edgar Lee Masters), ci restituiscono il quadro del vissuto di una comunità, attraverso i legami familiari, le amicizie, storie di nonni, figli e nipoti.
Nella prefazione alla pubblicazione “Andare Oltre” don Domenico sottolinea il percorso fatto finora: il primo impegno è stata ascoltare le persone e la loro vita, nelle tende, nei container, negli alberghi, nelle Sae, ovunque fossero, con una mobilitazione dei frati minori, cappuccini, suore, volontari, professionisti, a livello sanitario, scolastico, culturale e sportivo. Nel Convento di Plastica (container di 45 mq a Santa Giusta), vivendo in tre, i frati hanno prestato i primi soccorsi alle famiglie, agli anziani, ai malati. E poi (dopo il primo momento dell’emergenza con distribuzione di beni di prima necessità) è stato intervenire, con risposte concrete e gratuite verso famiglie, imprese, aziende agricole e dell’agroalimentare sostenendo chi rischiava l’abbandono attraverso la Caritas, i parroci e il terzo settore, orientando i fondi raccolti sulle reali necessità e realizzando punti di aggregazione, accoglienza, empori, lo sportello lavoro, la casa della comunità, centri di comunità diffusi. Il terzo impegno è stato contemplare, dando attenzione ai beni naturali e culturali, mettendo in sicurezza chiese (molte da ricostruire) e beni artistici realizzando un provvisorio Museo diocesano di Amatrice con la Fondazione Varrone e il Ministero: “Ci accorgiamo però che siamo solo all’inizio…”.
Per facilitare la comunicazione e sfatare le fake news, nel 2018 è nato il sito andareoltre.org costantemente aggiornato, dove è possibile seguire anche l’evoluzione del progetto della “Casa Futuro” che sarà il nuovo Centro Don Giovanni Minozzi. Cappellano militare, don Minozzi fondò una rete di “Case del Soldato” con scuole, biblioteche, sale di scrittura, lettura, scuole per analfabeti, assistenza orfani, che costituì “una città nella città”. Dal progetto degli anni ’20 dell’architetto Arnaldo Foschini, la nuova struttura porterà la firma dello studio Stefano Boeri Architetti. La struttura avrà una Corte Civica, una Corte del Silenzio, una Corte dell’Accoglienza, una Corte delle Arti e dei Mestieri, il centro studi Laudato Sì.
Insieme alla Caritas, la Diocesi ha promosso il bando territoriale “Ripartiamo insieme” per sviluppare iniziative a favore dell’occupazione, il progetto “Memoria e identità collettiva”, ha istituito l’impresa sociale ProMis (Progetto Missione) per gestire le attività rivolte ai giovani, adulti e anziani e le strutture realizzate dalla Caritas, organizzato eventi come il Meeting dei giovani, il Forum della Comunità Laudato Sì, il Centenario dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, la visita-lezione con gli studenti del Joint Diploma in Ecologia Integrale dell’Università Gregoriana con una esperienza della realtà di Amatrice, la solitaria via crucis del Vescovo di Rieti tra le macerie nella Pasqua del lockdown.
Al di là della distruzione materiale degli edifici “il terremoto sfalda i legami – scrive don Fabrizio Borrello, direttore della Caritas – ferisce le relazioni, sfilaccia le comunità: prima degli edifici, la ricostruzione deve partire dalle persone. Senza di loro non serve tirare su muri e poggiare tetti.
Francesca Sammarco
Nell’immagine di copertina, la visita di Papa Francesco e l’incontro con i vigili del fuoco
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