PERUGIA – Due mazzi di fiori sul sepolcro di Giovanni Paolo II, ma neanche un fiore di campo sulla tomba della verità. Addirittura nel suo libro di memorie – “Mi avevano promesso il paradiso” (edizioni Chiarelettere) – Mehmet Ali Agca ha persino “dimenticato” di essere transitato per Perugia prima di andare a Roma per attentare alla vita del Papa: neanche un cenno. Rimesso in libertà dal carcere turco di Sin Khan, dove è stato ristretto per alcuni anni, per l’omicidio di un giornalista turco, aveva annunciato che sarebbe venuto a visitare la tomba del Pontefice: in questo almeno è stato coerente.
L’esponente turco dei “Lupi grigi” ha recitato, talvolta, la parte del pazzo, dell’invasato. Ma è un furbo levantino. Di una intelligenza animalesca. Capace di intuire l’uscita dal labirinto. Pronto a parlare col papa, la sua vittima (si chiedeva come, dalla distanza breve – quattro metri circa – non fosse riuscito ad uccidere il bersaglio) e poi a sposare la tesi, lui musulmano, dell’aiuto divino al pontefice: il terzo mistero di Fatima. Occhi vivi, ferini, quasi quelli di un lupo vero in gabbia. Magro, emaciato e tuttavia agile come la belva, che si muove ed agisce in gruppo, non da solo. Come ha tentato di far credere. “È stato un attentato semplice”, ha dichiarato una volta. Ha sempre mischiato verità e falsità. Chissà se davvero gli avevano consegnato tre milioni di marchi per la missione in Vaticano, assicurandogli il rientro in Bulgaria, nel doppio fondo di un tir…
Quel giorno fatale in piazza San Pietro, una monaca – ironia del destino – lo abbrancò al braccio facilitando il suo arresto. Perugia fu – ormai è storicamente accertato – la sua base italiana, in cui si nascose per un paio di settimane almeno (alloggiò anche in albergo, al centralissimo Posta di Corso Vannucci) e da cui partì per la sua agghiacciante missione in Vaticano il 13 maggio 1981. Agca entrò in Italia di nascosto – pare aiutato dai servizi segreti di un paese dell’Est europeo (addirittura dal Kgb e dalle barbe finte bulgare o, come sostiene nel suo libro, dagli iraniani) – e scelse Perugia. O vi fu indirizzato. Tanto che si iscrisse quale studente all’Università per Stranieri. Nell’archivio di palazzo Gallenga viene conservato ancora il modulo della sua iscrizione con le scritte autografe dell’attentatore del Papa.
Perché Perugia? Il giudice romano Ferdinando Imposimato parlando della Perugia dell’epoca (sarà cambiato qualcosa?) sosteneva che fosse “il crocevia del terrorismo”. Nel capoluogo umbro transitò anche uno studente russo (poi diventato ufficiale del Kgb) che ruotava intorno ad Aldo Moro, finto studente, nelle settimane precedenti al suo rapimento, concluso in un bagno di sangue. Vivevamo tempi che furono definiti “gli anni di piombo”. Nel capoluogo umbro si muovevano anche le Brigate rosse. Un appartamento della Conca venne utilizzato per incontri strategici della colonna romana di Giovanni Senzani. E dalla città partirono pure le squadre di killer inviate dal colonnello Gheddafi per uccidere a Roma gli oppositori del suo regime.
E poi i servizi segreti di tutto il mondo: dalla Grecia alla Persia, dalla Palestina ad Israele, dall’Iran alla Russia. Più recentemente persino gli 007 della Cina. E ancora tutti quelli che nonostante il lavoro di intelligence dei servizi antispionaggio dell’Italia e dei suoi alleati avranno calcato le pietre di Corso Vannucci senza farsi notare e pizzicare. Agca scelse o fu indirizzato a Perugia? E, nel caso, perché? Solo perché meno di duecento chilometri lo dividevano dalla Città del Vaticano o perché a Perugia poteva incontrare, senza suscitare sospetti, i suoi complici o mandanti e mettere a punto, in maniera più approfondita, i piani strategici dell’attentato? E ancora: nella nostra città si muovevano o vivevano in maniera stabile “agenti” che rappresentavano una sorta di base logistica per l’attentato a Giovanni Paolo II? Pare che la pistola utilizzata per sparare i due colpi contro il Pontefice, Alì Agca l’abbia avuta una volta arrivato a Roma. Ma sarebbe interessante che il turco squarciasse, a distanza di anni e ora che ha scontato tutte le sue condanne, la verità su tutto il suo viaggio. Quel silenzio su Perugia nelle sue memorie lascia in bocca un sapore inquietante. Sappiamo che queste domande si rivelano non solo retoriche, ma ingenue. Agca si terrà tutto per sé. E i suoi complici faranno altrettanto. E’ la regola. Anche per non correre il rischio di incappare in una raffica di piombo.
Elio Clero Bertoldi
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