di Davanzo Bartolomeo Lorenzo 3^ A.
Ho deciso di scrivere quest’articolo per raccontare l’interessante e terribile storia della diga del Vajont che ho visitato con la mia classe. Il 9 ottobre 1963 alle ore 22:39 accadde uno dei peggiori disastri che l’uomo potesse mai causare: in Friuli Venezia Giulia un’intera montagna crollò. La frana si staccò dal Monte Toc e cadde nell’invaso del lago artificiale creato dal fiume Vajont e dallo sbarramento della diga appena costruita per far funzionare una centrale idroelettrica. Una massa di roccia, terra e alberi, precipitando in acqua sollevò un’ondata enorme, alta più di 100 metri, che corse a valle travolgendo tutto ciò che incontrò sul suo percorso. Tutti i paesi che si trovavano vicino alla diga e nella valle del fiume Piave, in Veneto vennero travolti. In pochi attimi morirono 1.910 persone, travolte dalla melma, dai massi e dall’acqua, che cancellarono letteralmente, il paese di Longarone e le sue frazioni. Questo disastro non fu un evento naturale: fu causato dall’avidità dell’uomo, che per quei tempi volle costruire la diga ad arco più alta del mondo, ben 262 metri, in un luogo morfologicamente inadatto. La diga, che rimase intatta, venne costruita dalla Società Adriatica di Elettricità per produrre energia idroelettrica e guadagnare più denaro possibile. I lavori iniziarono nel 1957 e la diga fu terminata nel 1959. Il bacino fu riempito nel 1961 e provato con invasi e svasi sino al 1963. Prima della costruzione della diga e per la scelta del luogo per sua costruzione furono condotti numerosi studi geofisici con carotaggi e ispezioni con il quali furono forniti diversi pareri geologici non tutti concordi sulla tenuta della montagna. Gli abitanti denunciarono più volte alle autorità i movimenti del terreno e le scosse telluriche, nonché i forti boati provenienti dalla montagna, ma non riuscirono a far abbandonare l’ambizioso progetto. Trovarsi sopra a quella diga imponente dà una sensazione di onnipotenza, ma al contempo fa pensare che cosa ha provocato è terribile. Visitare questi luoghi e i resti del dramma vissuto dai nostri compaesani, ci insegna che l’uomo non può pretendere di imbrigliare la natura perché la natura è più forte e, prima o poi, si riprende i propri spazi. Ci dice inoltre, che noi esseri umani dobbiamo vivere in armonia sul pianeta che ci ospita, e che dobbiamo preservarlo e rispettarlo per le generazioni che verranno dopo di noi.