Di Nicolò Penati –
Ogni volta che sentivo il paracadute aprirsi nell’aria sopra di me provavo una fortissima emozione: non avevo bisogno di guardare in alto per capire che si era aperto, perché era come se rimbalzassi verso il cielo quando il paracadute mi frenava all’improvviso, e poi mi lasciava scendere dolcemente verso terra. Quella volta però… non andò così: il paracadute non si aprì. Per la prima volta, probabilmente anche l’ultima, provai un’emozione stranissima. Stavo andando incontro alla mia morte e ne ero completamente cosciente.
La velocità aumentava sempre più ed io ero lì: non potevo fare niente. Il suolo si avvicinava ma la caduta sembrava interminabile.
Come in attesa di un miracolo, riprovai ad aprire il paracadute, ma niente, ogni tentativo fu vano. A quel punto iniziai a pregare il Signore, mi scusai per tutti i peccati che avevo commesso ed iniziai a piangere. Il momento dello schianto: eccolo! Un ultimo urlo nella speranza di salvarmi e chiusi gli occhi; un male atroce; poi, niente.
…
Aprii gli occhi, venni acciecato da una luce bianca abbagliante, a quel punto mi alzai, mi guardai intorno e pensai: ”com’è strana la morte”.
Ero cosciente di essere morto ma con la sensazione di essere invincibile lassù; da lì era possibile vedere tutto. Non ci pensai due volte ed andai a visitare il luogo del mio decesso.
Appena arrivai la zona era completamente stata recintata e la polizia ne negava l’accesso. All’interno della recinzione erano presenti alcuni poliziotti della scientifica che stavano fotografando i pochi elementi trovati lì attorno, al centro dell’area una sacca bianca, poco ci misi a capire qual era il contenuto.
Da lì a poco la sacca bianca venne presa in spalla da quattro uomini che la portarono appena fuori la recinzione, dove erano presenti i miei genitori ed una squadra di giornalisti locali.
I quattro uomini andarono in direzione dei miei genitori per ,effettuare il riconoscimento, a quel punto mia madre si girò e scoppiò in lacrime sulla spalla di mio padre, mentre lui stringendo i denti fece un cenno ed abbassò la testa. Anch’io riuscii a vedere il volto della vittima (io), rimasi sbalordito dai profondi tagli sul volto e d’istinto mi toccai il viso come nella ricerca di quelle ferite ma non trovai nulla.
Ad un tratto tutte immagini diventarono scure ed io venni sorpreso da un suono monotono assordante: ”Bip,BipBip,Bip,…”. Allungai il braccio verso il comodino e spensi la sveglia; a quel punto andai in cucina e raccontai il sogno ai miei genitori, che si guardarono e mi sorrisero ma vollero cambiare argomento come se gli desse fastidio parlarne. Non capendo il loro strano comportamento decisi di andare in bagno a prepararmi, ma rimasi pietrificato di fronte allo specchio nel corridoio… le ferite sul volto del sogno, ormai diventate cicatrici, erano reali…
Illustrazione di Nicola Giusti