L’infinito è una delle poesie più famose di Giacomo Leopardi, contenuta nei Canti. Fu scritta negli anni della sua giovinezza, quando ancora viveva nella sua città natale Recanati, nelle Marche, nel 1819.
Ma come lo immaginiamo noi studenti oggi? Malato, oppresso da una famiglia che non gli permette di esprimersi al meglio, immerso nei libri incurvando la schiena a tal punto da riscontrare danni permanenti. “7 anni di studio matto e disperatissimo” è quello che tutti sappiamo di lui, uno studio malato in cerca di una felicità che non ha mai trovato.
Eppure Giacomo Leopardi, nato a Recanati il 29 giugno 1798, è stato un bambino come tutti gli altri, un grande curioso, un giovane intellettuale, un poeta, un filosofo. Ma soprattutto un sognatore, come tutti noi. Il suo sogno più grande? Volare via dalla sua casa fredda, andare lontano del piccolo paesino che conosceva a memoria, viaggiare, conoscere, scoprire. L’infinito di cui parla era riferito infatti alla maestosità e alle grandezze che egli osservava da quel famoso ermo colle, celate dietro una siepe che gli impediva di vedere l’orizzonte. Nonostante tutto, riesce a superare ogni difficoltà e ad oltrepassare questo grande limite. E questa certezza ce la dà L’infinito, quella lirica che quest’anno ha compiuto duecento anni dalla sua prima stesura.
Già il titolo ci prepara ai due temi fondamentali della poesia: lo spazio e il tempo, perché sono le due entità nel mondo che l’uomo effettivamente concepisce come infinite. Infinito può essere lo spazio orizzontale sul piano cartesiano, oppure lo scorrere del tempo; infinito è anche il tempo che si ripete continuamente, il cambio delle stagioni, il ciclo della vita che muore e rinasce. Spazio e tempo, temi molto cari all’uomo, perché esprimono il suo interrogarsi sui misteri del mondo, misteri che con la sola ragione non possono essere svelati. Viene rappresentato quindi da Leopardi lo sgomento dell’uomo di fronte all’immensità di questi temi. Il poeta decide di soffermarsi su argomenti che per lui sono però fonte di dolcezza; dopo la meraviglia iniziale decide di abbandonarsi alla riflessione su essi, come se rappresentassero per lui il senso profondo del suo io più intimo. Voleva capire il significato del suo passato, quello del suo presente e riuscire ad accettarlo.
Partendo dalle sue esperienze sensoriali, decide di descriverle a partire da un contatto con la natura. Vengono descritti pochi elementi naturali: un colle, una siepe che limita il suo sguardo, il vento che soffia. Questa descrizione essenziale è solo lo stimolo che il poeta utilizza per fare una riflessione su temi come lo spazio e il tempo, il passato e il presente, e il loro infinito dilatarsi. Un altro stimolo che riceve è proprio l’incapacità dell’uomo di pensare al senso profondo delle cose; la considera un’occasione per andare oltre, usando la propria immaginazione ed elevarsi al di sopra dell’uomo comune.
Leopardi ci da una lezione molto importante. Già solo il titolo è meraviglia: la meraviglia che deve albergare nei nostri occhi ogni volta che guardiamo il grande infinito del mondo; infinito che in tempi moderni, purtroppo, ormai non sorprende più. Il prezioso consiglio che vuole lasciarci è quello di essere curiosi e non dare nulla per scontato, di scoprire il mondo, viaggiare, e non limitarsi al superficiale. Vedere oltre, sempre.
In occasione di questo bicentenario, tanti eventi e manifestazioni sono in programma nella città natale del poeta e nelle Marche. Così Recanati si prepara a celebrare l’anniversario della stesura di uno dei più celebri componimenti della storia della poesia. Si tratta di un progetto complesso sia per le diverse tematiche trattate sia per la durata temporale, un evento lungo un anno che tra mostre, spettacoli, conferenze, pubblicazioni, possa sollecitare la necessità di tornare a pensare all’infinito e alle infinite espressioni dell’uomo nella natura.
Federica Castellano