di Carolina Ambrosio- Federica Ambrosio-“Ho subito violenza come tante altre donne che la subiscono, a volte per sempre.Io sono sempre stata una persona piuttosto autonoma: già dai 15 anni facevo le mie cose, quindi ritrovarmi in una condizione di controllo e segregazione è stato uno shock per me, non riuscivo a credere a ciò che mi stava accadendo. Quando sono arrivata in Italia, all’inizio è andato tutto bene con mio marito. Dopo 6 mesi lui è cambiato e la mia vita è diventata un incubo. La violenza è iniziata piano piano. Ho sperato a lungo che lui cambiasse. Dopo alcuni anni non ce la facevo proprio più, ma dicevo a me stessa che se me ne fossi andata non sarei riuscita a sopravvivere, avevo paura perché non conoscevo la lingua italiana e avevo un bambino piccolo, non sapevo che fuori potevo trovare aiuto, ero in un paese straniero. Sapevo solo che c’erano i Servizi Sociali che prendono i bambini, perché sia lui che sua madre mi dicevano che se andavo a denunciarlo quando mi picchiava, i Servizi Sociali mi avrebbero portato via mio figlio. Io senza il mio bambino non posso stare, immaginavo che se mi avessero preso il bambino sarei morta. Alla fine è arrivato il momento in cui non ce l’ho fatta più e sono andata a chiedere aiuto anche se avevo tanta paura. Sentivo come se qualcuno mi stesse spezzando il cuore e non dormivo la notte. Ma sono andata lo stesso. Era arrivato il momento in cui dovevo dire basta. Anche se stavo male e avevo il terrore che mi prendessero mio figlio, ho detto a me stessa «Io da questa situazione devo uscire!». Sono scappata di casa senza niente e sono andata al Centro Antiviolenza a chiedere aiuto. Ricordo che sono entrata e non capivo niente, ho pianto tutto il tempo e pensavo che non ce l’avrei mai fatta ad alzarmi in piedi da sola con un bambino piccolo, in un paese di cui non sapevo proprio niente. Non dimenticherò mai il loro aiuto in tutta la mia vita; mi hanno tranquillizzata sul fatto che i Servizi sociali non avrebbero portato via il bambino. Al Cav mi hanno dato vestiti per me e mio figlio e un alloggio sicuro. La prima notte ho pianto tutto il tempo, non riuscivo a respirare, ma guardandomi allo specchio dicevo «Non devo piangere, basta, è finito tutto. Ce la faccio!». Dopo una settimana ho fatto denuncia contro il mio ex marito e lì ho conosciuto l’assistente sociale che è stata molto carina con me. Le ho subito chiesto «Ma voi mi prendete mio figlio?» lei mi ha risposto di no, mi ha tranquillizzata. Ho continuato a chiederglielo a lungo, ogni volta che la incontravo. Quando ho capito che non avrebbero portato via mio figlio, ho iniziato veramente la mia vita e con il tempo anche il malessere è passato del tutto. Ho iniziato a studiare per imparare la lingua italiana, mio figlio è stato inserito al nido e da lì non sono mai più caduta. In seguito sono entrata in una comunità per iniziare un percorso di autonomia e inserimento lavorativo. Ho iniziato il tirocinio e mi sono sentita col tempo più sicura e autonoma. Era il mio primo lavoro e all’inizio è stato un po’ faticoso, ma, con la forza di volontà e il sostegno dell’equipe ho potuto imparare molte cose e stringere nuove amicizie. Di giorno lavoravo e la sera frequentavo la scuola per prendere la licenza media. Adesso ho finito tutto: il mio ex è stato condannato, ho avuto la separazione e ho ottenuto l’affidamento di mio figlio. Ho preso il diploma di terza media e ho avuto una proposta di contratto presso il luogo in cui ho effettuato il tirocinio. Ora mi sento serena e felice con mio figlio. Consiglio a tutte le donne che sono maltrattate dagli uomini di chiedere aiuto, non devono vivere nella violenza tutta la vita. L’aiuto là fuori c’è! Noi siamo donne non siamo arrivate in questo mondo per essere maltrattate.”
Questa vicenda ci fa comprendere quanto sia difficile affrontare una situazione del genere, ma soprattutto, quanto coraggio e forza bisogna avere per superare tali difficoltà che spingono poi alla denuncia del caso.