di Nicole Pinto, Carola Vivacqua, Miriam Rizzo –
Si è concluso venerdì, 11 gennaio 2019,il ciclo di cinque lezioni sulla Costituzione italiana, tenuto dal giudice Alberto Maritati nel nostro istituto e rivolto alle classi terze. Tema dell’ultimo incontro è stato l’articolo 27 della Costituzione, ossia quell’articolo che regola la condanna per chi commette reati. La lezione ci ha coinvolti molto perché i temi affrontati erano di grande attualità: il giudice ci ha spiegato che la frase “la responsabilità penale è personale”significa che ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni, quindi chi commette reati, ovvero azioni contrarie alla legge, deve risponderne personalmente. Il tema è diventato più interessante quando ci è stato spiegato che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Questo significa che, prima che la pena possa essere stabilita, bisogna accertare la colpa con prove reali e non confutabili. Per questo prima che sia terminato il processo la persona è definita semplicemente “imputato” e diventa colpevole solo dopo la condanna. Anche quando viene effettuata una carcerazione preventiva non significa che l’imputato sia colpevole, ma significa soltanto che si teme che colui che è stato arrestato possa compromettere l’equilibrio della società o inquinare le prove. Stabilita poi la colpa, bisogna assegnare una pena che sia adeguata alla gravità dell’azione commessa e soprattutto che non sia contraria al senso di umanità.
Infatti l’articolo afferma “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Quindi non solo non sono ammesse pene corporali, ma la pena deve avere lo scopo di far capire la gravità dell’errore commesso e dar la possibilità di essere reinserito nella società una volta scontata la pena.
Infine per la nostra Costituzione non è possibile in alcun caso punire con la morte: “non è ammessa la pena di morte” recita l’articolo.
L’Italia è contro la pena di morte, che fu abolita già nel 1889. In letteratura italiana abbiamo studiato che il primo a chiedere di eliminare questa pena, nel 1764, fu il filosofo illuminista Cesare Beccaria, che nel suo trattato “DEI DELITTI E DELLE PENE”, oltre ad accusare lo stato perché riteneva che fosse la vera causa dei reati che venivano commessi, affermava che condannare alla pena di morte una persona equivaleva a commettere un omicidio. La pena di morte oggi non è più praticata nell’Europa occidentale, ma il tema rimane di grande attualità sia perché in molti paesi delle Americhe, dell’Africa, dell’Asia (si pensi per esempio alla Cina, dove nel 2004 sono state condannate a morte 6000 persone ed eseguite 3500 condanne) la pena di morte rimane in vigore, sia perché anche nel mondo occidentale esistono pareri discordanti tra la gente comune sull’utilità di questo tipo di condanna. La questione è sicuramente spinosa e vede anche noi ragazzi incerti e divisi nei giudizi, soprattutto quando si tratta di condannare persone che si sono macchiate di delitti particolarmente efferati.