di Vittoria D’Auria –
Felicia Bartolotta nacque a Cinisi il 24 maggio 1916 da una famiglia di agricoltori di agrumi e olivi. Suo padre era impiegato al comune di Cinisi, mentre sua madre era casalinga. Da giovane venne promessa sposa ad un uomo che non amava e che, proprio nel giorno del matrimonio, lasciò sull’altare. Nel 1947 si sposò dunque con Luigi Impastato, piccolo allevatore legato a cosa nostra, che durante il fascismo era stato inviato per tre anni al confino per mafia ed era anche cognato del capomafia di Cinisi Cesare Manzella. Dal matrimonio nacquero tre figli: nel 1948 Giuseppe detto “Peppino”, nel 1949 Giovanni, morto di meningite nel 1952 a soli 3 anni, e nel 1953 il terzo figlio, chiamato anch’esso Giovanni.
Il matrimonio fu burrascoso; nel 1963 Cesare Manzella morì in un attentato, evento che diede inizio alla lotta contro la mafia del figlio Peppino, il quale fondò una radio libera, radio Aut, che utilizzò per attaccare i mafiosi, ed iniziò a litigare sempre più frequentemente e violentemente con il padre. Luigi Impastato non aveva la forza di rompere i propri legami con l’ambiente malavitoso, ma allo stesso tempo non riusciva ad accettare il fatto che Peppino, a causa della sua attività anti-mafia, rischiasse di venire ucciso per volere di Gaetano Badalamenti, successore di Cesare Manzella come capomafia locale. Felicia, a sua volta, era molto preoccupata, ma allo stesso tempo sapeva che, finché il marito Luigi era in vita, Badalamenti non avrebbe mai osato fare del male a Peppino, in quanto figlio di un suo amico.
Nel 1977 Luigi morì in un presunto incidente e Felicia si preoccupò ancora di più per la situazione di Peppino, avvertendolo del grosso rischio che correva senza più il padre a proteggerlo da “don Tano”. Nella notte del 9 maggio 1978 Peppino, che nel frattempo si era candidato alle elezioni comunali nelle liste di democrazia proletaria, venne assassinato dai mafiosi, i quali adagiarono il suo cadavere sui binari della ferrovia, in modo tale da far credere che fosse rimasto ucciso mentre stava progettando un attentato. La stampa e le forze dell’ordine inizialmente sostennero questa ipotesi, per poi iniziare ad affermare invece che Peppino si era suicidato; oltretutto, il delitto passò inizialmente inosservato in quanto, nella stessa notte, a Roma venne ritrovato il corpo del politico Aldo Moro, ucciso dalle brigate rosse. Felicia ruppe pubblicamente i rapporti con i parenti legati a cosa nostra e, con l’aiuto del figlio Giovanni e della nuora, anch’essa di nome Felicia, consapevole delle reali circostanze in cui era morto il figlio, iniziò a rendersi protagonista di un’attività continua e costante finalizzata a fare in modo che la giustizia scoprisse la verità e punisse i responsabili; Badalamenti verrà riconosciuto come colpevole dell’uccisione di Peppino e condannato soltanto nel 2002.
Dopo aver ottenuto giustizia per il figlio, Felicia raccontò la sua vita nel libro “La mafia in casa mia”.