di Marcella Stabile (classe V^B) – La fragilità è un handicap o un dono per capire più nel profondo noi stessi? Nello Zibaldone nell’aprile del 1827,Giacomo Leopardi accennò al desiderio di comporre una “Lettera a un giovane del ventesimo secolo“. A cogliere il messaggio di quella lettera mai scritta è stato proprio Alessandro D’Avenia quando diciasettenne scoprì Giacomo Leopardi e fece suo il proposito di redigere, vent’anni dopo, una risposta al Poeta. Ne è nato un libro e una serie di lettere scritte in fondo da tutti noi: “L’arte di essere fragili”. L’ opera attraversa il buio dei secoli e mette a nudo il ruolo della letteratura, mistificato oggi dalla società dei consumi: restituire agli uomini il senso della vita. Sono lettere sulle cose che contano e per questo sono rivolte soprattutto ai giovani e a chi conserva la scintilla – oggi debole e piegata dai venti – di un’etica. Credo che la sua opera occorra a “una generazione spesso perduta in un deserto di noia, a caccia di oasi di senso, intrappolata in miraggi emotivi necessari a risarcire una profonda solitudine, quella di chi si sente abbandonato da tutto” a riprendere in mano la vita nonostante le avversità alle quali essa ci espone. L’ opera è suddivisa in quattro sezioni che rappresentano le fasi vitali dell’ uomo nelle sue fragilità e dolori, nelle sue rinascite e gioie: l’adolescenza come arte di sperare; la maturità come arte di morire; l’arte di essere fragili, una parte della vita che Leopardi inventa e che sembra meravigliosa; e poi il morire come arte di rinascere. D’Avenia ci regala un implicito manifesto politico, sociale, ideologico e spirituale. Il futuro dell’uomo è appeso al filo della sua capacità di riappropriarsi della poesia e dell’arte di vivere in ogni sua forma. Oggigiorno la tecnologia e il consumismo ci hanno talmente assopito da farci credere che l’umanità – intesa come specie e come valore – possa avere un futuro rinunciando alla propria anima. Ogni uomo, nella sua quotidianità, passa più tempo a guardare lo schermo asettico di uno smartphone piuttosto che sfogliare le pagine di un libro che possono suscitare emozioni. Eppure, la letteratura è imprescindibile quanto il pane, poiché è il canto dell’uomo nella notte che insegna alle giovani generazioni proprio “l’arte di vivere”. Quest’arte di “essere poeti del quotidiano” conta più di ogni altra cosa e si basa su una verità che il “progresso” ci ha fatto dimenticare: siamo umani e dobbiamo imparare “l’arte di essere fragili”.
Lo scrittore D’ Avenia ha proprio l’ intento di rivalutare la figura di Giacomo Leopardi, autore conosciuto per il suo pessimismo e per la sua poca voglia di vivere dovuta alla sua salute cagionevole, per farci riscoprire un ottimista, un amatore della vita.
Attraverso gli scritti del poeta romantico, D’Avenia ci induce ad “affrontare la paura del buio, rendendoci disponibili al mistero” per svelarci il segreto della felicità.
Un percorso reinterpretativo di un uomo da sempre misterioso che ci invita ad essere “poeti” ogni giorno, chiamati a fare qualcosa di bello al mondo , costi quel che costi.
Un metodo per dare compimento a se stessi e alle cose fragili, il segreto per rinascere.
Alla fine del libro l’ autore confessa “ho subito una metamorfosi, ma non per nuove penne e nuove ali: queste sono sparite, e al loro posto, spero ormai d’ avere un paio di gambe per camminare pazientemente sulla terra”. Leopardi ha smosso l’animo di D’Avenia che, intrapreso questo lungo percorso di stesura, ha avuto una vera e propria rinascita. Così la sua opera finisce in un presidio di raccomandazioni e speranze che destano l’ uomo moderno a non arrendersi, ad avere coraggio, per scoprire l’ Infinito oltre la siepe: “Auguro questa metamorfosi anche a te, caro lettore, che hai deciso di portare in tasca questo libro, dedicandogli il tuo tempo e i tuoi pensieri. Ti sono grato per aver fatto questo tratto di strada insieme”.