Immaginiamo un piccolo fiore, nato in un terreno brullo, arido, aspro, incerto delle proprie radici, che audace continua a crescere, sprezzante della paura. “Twin Flower” è la trasposizione di questo magnifico contrasto di fragilità e vigore, di delicatezza e risoluzione.
Anna ha sedici anni, suo padre lavorava come dipendente presso Manfredi, un trafficante di migranti, che col tempo ha sviluppato una vera ossessione per lei. Il terrore dell’uomo ha tolto alla ragazza la parola, che nel film comunicherà solo con l’intensità degli sguardi, con la rabbia dei silenzi.
Durante l’ennesima fuga da Manfredi, la strada di Anna s’interseca con quella di Basim, giunto in Italia dalla Costa d’Avorio traversando il Mediterraneo su di un barcone. Da questo istante le loro realtà si intrecciano e sfociano in un amore doloroso, arduo, fatto di frasi non dette e di storie lontane. Anna fugge dal proprio passato, Basim rincorre il suo futuro, immersi in un cammino estemporaneo. I due protagonisti sentono la necessità di demolire ogni cosa per poter ricostruire loro stessi, di una purificazione per un nuovo inizio: durante la loro congiunzione ciò è sancito dall’acqua che lava via dalle loro pelli il ricordo degli abusi sessuali subiti da entrambi.
Questo “road movie” diretto da Laura Lucchetti abbraccia temi profondi e tremendamente attuali, come la violenza sulle donne, la prostituzione e l’immigrazione. In un connubio tra profumi divergenti ci racconta una realtà più vicina di quanto possiamo credere. Il crudo realismo della storia di questi si rispecchia perfettamente nella brutalità del paesaggio sardo, lo scenario su cui si articola il film.
Il lungometraggio, oltre a portare a riflettere, vuole presentarsi come l’antitesi delle topiche storie d’amore, ripetitive e ipocrite nei loro continui cliché. A questo proposito gli attori (Kallil Konem ed Anastasiya Bogach) sono stati scritturati non per la loro carriera o qualità recitativa, ma per le loro storie personali: Kallil (Banim nel film) racconta di essere fuggito a piedi dalla Costa d’Avorio fino in Libia dove si era imbarcato per l’Italia; approdato nel nostro paese, pochi mesi dopo ha fatto domanda per il provino. Come lui molti altri migranti si erano presentati e Lucchetti esprime la sua difficoltà nel dover scegliere tra tanti volti testimoni di esperienze indicibili. Nonostante tutte le violenze verbali e fisiche dovute al colore della sua pelle al momento dello sbarco, il sogno di Kallil non si è spento ed è anche grazie a lui che l’opera ha ricevuto una menzione speciale al Toronto Film Festival 2018 e al Festival di Cannes.
Gemma Petri / 2D Liceo Classico Galileo di Firenze