Delia Rivetti – La porta si aprì lentamente, scricchiolando e la ragazza entrò nell’abitazione, facendo cadere la borsa a terra. Un dolcissimo appendi abiti “gattoso” la accolse, mentre un dolcissimo peluche e tanti simpatici adesivi la fissavano felici. Si sfilò il cappotto e lo appese assieme a un grazioso cappello con le orecchie, poi raccolse la borsa da terra e si addentrò nella sua dimora. Lasciò le scarpe vicino ad un tavolino e sprofondò sul divano, abbracciando la borsa. Guardò il salone della sua amata casetta e sospirò soddisfatta, felice di constatare che nulla era stato spostato o toccato da qualcuno. Tirò lentamente fuori le cose dalla borsa e si soffermò ad ammirare l’ocarina che si era conquistata in questo suo ultimo viaggio. Era di ottima manifattura: il legno era stato intagliato accuratamente e, anche se in alcuni punti si poteva ancora scorgere il punto in cui lo scalpello aveva scavato il legno, lo strumento era liscio al tatto. I colori con cui era dipinta erano vivaci e sgargianti, anche se in alcuni punti un po’ sbavati e scoloriti. Molto probabilmente quella Baba Vraja (le “streghe di fiume” note per i loro inganni ed incantesimi e per il loro aspetto ripugnante e rinsecchito) aveva usato colori scadenti e chimici e non tinture naturali, come si usava nella sua tribù. Sospirò, continuando a controllare i vari difetti di quell’oggetto, che solo ora, lontana dal luogo in cui aveva elogiato lo strumento, vedeva. Infatti, spostandosi ad osservare la parte superiore dell’ocarina, dove questa era appunto intagliata per dare la forma di un felino, si poteva notare che gli occhi del simpatico gatto erano leggermente strabici e ciò fece infuriare la giovane, che la lanciò irruentemente su una poltrona. Fece un grande sbadiglio e si stiracchiò per benino, per poi finire di svuotare la sua tracolla. La sua mano abbronzata accarezzò qualcosa di liscio e la giovane arcuò le sopracciglia, in un espressione interrogativa. Strinse la presa su quell’oggetto misterioso e lo tirò fuori. Appena vide il liquido color pece, capì subito di cosa si trattasse. Lanciò la borsa, che si andò a schiantare sul pavimento con un soffice tonfo. “Cat Ink…” sussurrò, studiando attentamente la boccetta. Poi però sentì gli occhi chiudersi e, mentre le sue membra diventavano pesanti, la sua mente lasciava la realtà, per inoltrarsi nel regno dei sogni, un luogo effimero e meraviglioso. Poi ecco, un tonfo assordante le fece aprire di scatto gli occhi. Era buio intorno a lei, ma nelle tenebre poteva chiaramente distinguere la figura del gigantesco gatto di peluche che aveva in camera. Il gattone rosa che aveva in camera… Si alzò di scatto, salendo in piedi sul divano e osservando la stanza con circospezione. Uno scricchiolio sinistro la fece voltare e solo allora notò l’appendiabiti steso in parte sul divano, con le facce inclinate verso di lei e che parevano fissarla malevole. Un brivido gelido le attraversò la schiena, quasi paralizzandola dall’orrore. Allungò tremolante la mano, tentando di raggiungere l’interruttore. I polpastrelli spinsero lentamente quel piccolo tasto, accendendo la luce. Per un momento la forte luminosità della stanza la accecò, portandola a chiudere gli occhi, ma, quando sollevò le palpebre, ciò che vide le fece desiderare di non aver mai schiacciato quell’interruttore. Ogni oggetto della sua collezione era posto a semicerchio intorno a lei, miriadi di gatti la fissavano malevoli, con gli occhi che trasudavano malignità. Abbassò lo sguardo sulla sua maglietta e vide che il gattino disegnato su di essa la stava fissando. Sgranò gli occhi e le sue iridi castane si restringevano, mentre il suo volto era solcato da un’espressione di puro terrore. La sua bocca era aperta in un grido muto, mentre la sua fronte era imperlata di sudore. Con un gesto fulmineo si tolse velocemente la maglia, buttandola lontano e rimanendo solo con una canottiera rosa, corse via verso la sua camera, evitando gli spaventosi gatti che l’avevano circondata. Sbatté violentemente la porta in preda al panico e girò la chiave, chiudendosi dentro. “È solo un sogno, un orrendo sogno, ora tu ti sveglierai e andrai di là, vedrai che non ci sarà nulla …” si disse, prima di chiudere gli occhi e scivolare contro la porta della stanza. Nel farlo, posò la boccetta con l’inchiostro che aveva in mano sul settimino accanto la porta. Si rilassò contro il freddo legno, mentre calde lacrime scendevano dalle sue guance cineree, attraversando il suo volto livido di paura. Piegò la
testa verso l’alto e socchiuse lentamente le palpebre, mentre l’ennesimo scricchiolio le faceva accapponare la pelle. Abbassò lentamente lo sguardo volgendolo verso l’interno della camera. Gli stessi gatti, che prima la minacciavano nel salone, ora si trovavano davanti a lei e la osservavano famelici, con i denti appuntiti in bella mostra ed artigli affilati come rasoi. Guardò lentamente ogni felino, mentre gelide gocce sgorgavano dai suoi occhi. Poi sorrise ed iniziò a ridere. C’era qualcosa di così incredibilmente sbagliato ed inquietante nel suo riso, che riempiva il silenzio, accompagnato da scricchiolii sempre più frequenti. La bocca della giovane era spalancata e da essa una putrida cascata si rigettava nell’aria e la sua risata continuava, sembrava non avere fine. Eppure al tempo stesso il suo corpo magro era scosso da violenti singulti, che la facevano tremare. Poi smise di ridere e guardò con quei suoi occhi gonfi di lacrime il suo maledetto pubblico. Il suo sguardo era un vortice di emozioni, nel quale si alternavano agli occhi ingenui e spaventati di una bambina lo sguardo di una donna determinata e pronta a tutto. La paura si mischiava alla tristezza e all’adrenalina, che regnava sovrana nelle sue azioni. “Mi odiate proprio vero?” chiese sottovoce, più dicendolo a se stessa che ai suoi felini spettatori. Poi, spinta da qualcosa, continuò quasi urlando: “Perché mi odiate così tanto?! Cosa ho mai fatto per meritarmi questo?! Non lo accetto!!” Il suo respiro era affannoso e sentiva i polmoni esplodere, nonostante non si fosse quasi per nulla mossa. Il sudore aveva ormai completamente bagnato i suoi vestiti e colava fastidiosamente dalla sua fronte. Alzò un pugno, forse pronta ad attaccare, ma poi rimase per un attimo immobile, con il pugno bloccato a mezz’aria. “SE DOVETE ATTACCARMI, FATELO E FACCIAMOLA FINITA!” sbraitò, colpendo impetuosamente il mobile alla sua destra. Il fragore del colpo fu accompagnato da un altro suono: il rumore del vetro che si frantumava contro il duro pavimento. La giovane voltò subito lo sguardo verso la fonte di quel suono, incurante della mano piena di spaccature, procurate dal forte impatto con il legno duro del mobile. La boccetta era andata in mille pezzi e il liquido color pece era andato a macchiare il pavimento della stanza. Rimase ad osservare l’inchiostro per qualche istante, prima che questi iniziasse quasi a bollire. Bolle scure iniziarono a formarsi e a crescere, diventando man mano più grandi e prendendo varie forme. Quando però l’occhio esperto della giovane riconobbe la forma felina di quelle bolle di inchiostro, il suo corpo scattò come una molla ed aprì fulminea la porta, pronta a fuggire. Ma al di fuori della stanza, una miriade di gatti finti la osservavano, bloccandole la strada. Milioni di gatti neri si intrecciavano e si fondevano tra loro, si separavano e si riformavano, rincorrendosi e superandosi, avvicinandosi sempre più a lei e divorando ogni cosa. Tentò di urlare, ma dalle sue labbra fuoriuscì solo un debole miagolio, prima di essere travolta dal nero ebano di quell’inchiostro malefico. E l’inchiostro gatto ricoprì ogni cosa, facendo sprofondare ogni cosa, che contaminava con la sua oscurità, nell’oblio. Delia Rivetti VD