Nobile l’intento che ha portato migliaia di ragazzi in piazza a manifestare venerdì 15 marzo in difesa dell’ambiente: sensibilizzare governi e istituzioni sulle politiche ambientali. Questo vero e proprio movimento di massa studentesco, partito dalla 16enne svedese Greta Thunberg, ha coinvolto l’intero pianeta Terra. Nel dettaglio, 182 Paesi del mondo, compresa l’Italia.
Il programma FridaysForFuture (FFF) scaturisce dalla presa di coscienza dei ragazzi in merito alle disastrose conseguenze a cui la mancanza di rispetto degli accordi di Parigi sta portando. Secondo questi accordi, firmati nella Conferenza di Rio nel 2015, i paesi aderenti avrebbero dovuto ridurre le emissioni di anidride carbonica e gas nocivi per l’ambiente per limitare il riscaldamento globale. Da quanto accaduto, però, è chiaro che, se dal 1995 i partecipanti dell’UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) continuano a riunirsi e a stipulare altri accordi, le condizioni dei precedenti (e degli attuali) non sono state affatto rispettate. Di qui, allora, la preoccupazione dei giovani, mentre il riscaldamento globale ha già raggiunto livelli disastrosi (è probabile, infatti, che molti dei lettori, in giro per l’Italia, stiano già leggendo quanto scritto a maniche corte e con gli occhiali da sole!).
Un futuro senza Terra che futuro è? Questo gridano i giovani sfilando nei cortei e radunandosi nelle piazze venerdì mattina, convinti che le rivoluzioni storiche, come imparato probabilmente nei venerdì in cui a scuola ci sono andati, partono sempre ed esclusivamente dal basso. E qui il focus del discorso: la manifestazione di oggi, ammettetelo, non è servita a niente se, tornati a casa, ciascuno ha cotto per sé una fettina di carne, ha lasciato scorrere per dieci minuti buoni l’acqua del rubinetto per lavare gli utensili da cucina, se alla sera ha attivato il calorifero domestico al massimo e se, per raggiungere gli amici al bar dietro casa, si è servito di una macchina o di un motorino. Perché sia davvero in difesa dell’ambiente, la manifestazione di oggi dovrebbe incoraggiare i ragazzi (e non solo) a compiere oggi stesso una sorta di fioretto: dovrebbero rinunciare a fumarsi quella sigaretta post pranzo, andare in palestra senza farsi accompagnare in macchina, fare la doccia e non necessariamente il bagno.
“Non puoi pretendere un cambiamento così drastico da un giorno all’altro”, mi sono sentita rispondere. E quale cambiamento meno drastico, invece, si aspettava la folla dei manifestanti? Che da domani avrebbero spento tutte le fabbriche o che di botto le istituzioni politiche di tutto il mondo avrebbero messo da parte l’economia e sarebbero diventate paladine della natura e dell’ambiente? Quindi, piuttosto che puntare il dito ai potenti indifferenti, perché non diventare noi i “potenti”? Perché non armarci di pazienza e scegliere di camminare o girare in bicicletta, invece di prendere l’auto, perché non sostenere il sistema di riciclaggio, piuttosto che gettare qualcosa che potrebbe esser utile ancora a lungo?
Non vorrei mai credere poco in me e nei miei coetanei, ma quante volte dopo oggi ancora preferiremo il progresso all’ambiente? Quante volte non disattiveremo il risparmio energetico dal nostro cellulare perché di batteria, per ora, ce n’è abbastanza? Nel bilancio progresso-inquinamento, tenderemo sempre al piatto più leggero: l’agio, il privilegio della tecnologia.
“L’importante è che quanto accaduto oggi abbia spinto molti a pensare”. Non vorrei mai contraddire un detto che di anni ne ha sicuramente più di me, “Basta il pensiero”, ma in realtà davvero non basta più. Senza apparire sulle migliori testate giornalistiche mondiali per ciò che a breve dirò, trasformiamo il FFF fatto di manifestazioni, in uno di tanti gesti gentili, compiuti ogni giorno (o magari per ora ogni venerdì) nel nostro piccolo. Solo essi cambieranno la nostra quotidianità, in favore dell’ambiente.
Nonostante i superficiali slogan che hanno sfilato con i ragazzi, da “+ fi*a” a “-CO2”, da “climate change is hotter than your wife’s orgasms” a “più sesso orale, meno emissioni”, io credo fermamente nei pochi “- ego, più eco” ed “è anche colpa mia, ma sto rimediando” che, indossati o innalzati, spiccavano tra molti manifestanti, che alla domanda “cos’è il buco dell’ozono?” hanno avuto il coraggio di rispondere “mi cogli impreparato”.
La risposta è tutta lì: non solo esser consapevoli di non sapere, ma anche darsi da fare per rimediare e per cambiare le cose. Perché per esser davvero ecologisti, non basta scioperare: occorre coltivare un più sano altruismo.
Dominga Valenzano, IV B