Classe 2^ D
“ Il forse è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, non certezze … Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito” – Giacomo Leopardi.
Si chiamano “Infinito Leopardi” le celebrazioni per i duecento anni dalla stesura dell’
Infinito, celebre componimento del poeta Giacomo Leopardi.
L’
Infinito fu composto, infatti, nel 1819 a Recanati. La lirica fu pubblicata una prima volta nel 1825 sulla rivista bolognese
Il nuovo Ricoglitore, in seguito venne inserita nella raccolta
Versi nel 1826 e infine nell’edizione dei
Canti del 1831.
Il poeta era solito recarsi sul colle Tabor, nei pressi della dimora familiare a Recanati.
Salito sul colle, dopo aver trascorso la giornata in biblioteca a studiare, si sedeva sulla sommità della collina ad ammirare il panorama sottostante. L’unico ostacolo, che non gli permetteva di osservare una parte del paesaggio, era una siepe. Così un giovane Leopardi, poco più che ventenne, dava spazio con l’immaginazione ad una dimensione priva di confini. La poesia è un componimento di 15 versi endecasillabi sciolti. La mancanza di rime lascia una sorta di “libertà” che permette al poeta di allargare i suoi orizzonti fino all’ INFINITO. Il componimento ha una sintassi molto complessa: Leopardi impiega ripetutamente proposizioni relative e nessi subordinanti e coordinanti che conferiscono alla lirica un andamento più pacato. Le figure retoriche prevalentemente utilizzate sono:
- le assonanze e le consonanze delle lettere V, E, I, O;
- la metafora: la siepe è paragonata ad una barriera che aiuta l’uomo a guardare “oltre”, il vento alla rievocazione dell’eternità e il mare a un infinito senza limiti;
- gli enjambement: presenti ai vv.2-3, 5-6, 7-8, 8-9, 9-10, 10-11, 12-13, 13-14.
Possiamo suddividere la lirica in due parti. Nella prima parte, vv.1-8, prevale la vista nella descrizione del paesaggio . Inizialmente il poeta parla della visione del panorama ostacolata dalla siepe che avvia un percorso dell’immaginazione che lo porta in luoghi sconosciuti, senza fine, che vanno oltre i limiti umani. Come per tutti i viaggi verso luoghi sconosciuti, si prova un’ emozione in cui paura e piacere si confondono. Si tratta di quella emozione che si prova quando ci si trova in luoghi sconfinati, che vanno oltre qualunque confine, dove non esistono parole per descrivere cosa si sente. Lo stato in cui si trova il poeta viene però interrotto: inizia così la seconda parte della lirica, (vv 8-15), in cui il poeta non si riferirà più alla sfera visiva, ma a quella uditiva.
Inizia una descrizione dei suoni che permetteranno al poeta di perdersi nel tempo. Il fruscio delle foglie viene paragonato al silenzio dei versi precedenti e richiama alla mente del poeta l’eterno, il tempo passato e anche quello presente. Oltre ad aver perso i punti di riferimento dello spazio, nella seconda parte, vengono meno anche le coordinate temporali. La mente del poeta ora prova il piacere del naufragar in mezzo a un mare dove nemmeno in lontananza è possibile vedere le rive in cui il tempo si annulla. Arriva così il momento per Leopardi di annegare nel mare dell’infinito.
“L’INFINITO”di GIACOMO LEOPARDI e’ stato tradotto i in tutte le lingue del mondo (
http://www.leopardi.it/infinito.php), ma la suggestione, la magia del lessico, della metrica, delle figure di suono, della struttura del testo italiano sono difficilissime da percepire in un’altra lingua. Si riporta la traduzione in inglese e francese.
THE INFINITE.
Always dear tome was this solitary hill/
and this hedge, which, from so many parts/
of the far horizon, the sight excludes./
But sitting and gazing, endless/
spaces beyond it, and inhuman silences, and the deepest quiet/
I fake myself in my thoughts; where almost/
my heart scares. And as the wind/
I hear rustling through these trees, I, that/
infinite silence, to this voice/
keep comparing: and I feel the eternal,/
the dead seasons, the present,/
and living one, and the sound of her. So in this/
immensity drown my own thoughts:/
and sinking in this sea is sweet to me./
L’INFINI.
Toujours chère me fut cette colline/
Solitaire;et chère cette haie/
Qui refuse au regard tant de l’ultime/
Horizon de ce monde. Mais je m’assieds/
Je laisse aller mes yeux. Je faconne, en esprit/
Des espaces sans fin au delà d’elle/
Des silences aussi, Comme l’humain en nous/
N’en connait pas, et c’est une quietude/
On ne peut plus profonde:un de ces instants/
Ou peu s’en faut qur le coeur ne s’effraie/
Et comme alors j’entends/
Le vent bruire Dans ces feuillages, je compare/
C’è silence infini à cette voix/
Et me revient l’éternel en mèmoire/
Et les saisons dèfuntes, Et celle-ci/
Qui est vivante, en sa rumeur. Immensité/
En laquelle s’abime ma pensée/
Naufrage, mais qui m’est doux Dans cette mer/
Il
bicentenario della stesura dei versi che hanno ispirato intere generazioni verrà celebrato con un anno di eventi.
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