//“Se chiudo gli occhi…”- pagine del taccuino di Elena

“Se chiudo gli occhi…”- pagine del taccuino di Elena

di | 2021-02-12T19:14:42+01:00 12-2-2021 19:11|Alboscuole|0 Commenti
Il taccuino dello scrittore è uno dei principali strumenti utilizzati dalla comunità del Writing and reading workshop; una comunità di lettori e scrittori che insieme si ritrovano nella parola scritta, scoprendo e sperimentando tecniche di scrittura. E’ una strategia didattica sempre più in uso alla scuola Vaccina. Di seguito proponiamo un estratto dal taccuino della studentessa Elena Carbutti  della classe  II L, sollecitata dalla sua insegnante Maria De Palma ad appuntare le  sensazioni e i  pensieri che l’ascolto e la visione di filmati relativi alla giornata della memoria ha potuto suscitare in lei. Una strategia didattica che invita i ragazzi di avvicinarsi alla scrittura, permettendo loro di scoprire quanto questa possa essere un potente strumento espressivo di sé, ma anche un rifugio dove imparare a  conoscersi meglio. #sechiudogliocchi (riflessioni sulla Shoah) di Elena Carbutti Chiudo gli occhi e… la temperatura scende, ho freddo, sono sola: che fare, dove andare, dove fuggire, dove nascondermi? Non so niente. Guardo le mie certezze, le mie sicurezze sgretolarsi tra le dita, come la sabbia fine delle spiagge della mia patria. La vita, la mia vita, è un castello di carte, che un vento troppo forte ha buttato giù, ha distrutto, solo una o due rimangono in piedi, persistono, resistono, combattono… chissà perché… chissà per quanto.                                                             Chiudo gli occhi e… sono sola: Marco, Claudia, mamma, papà, Hero, zia, nonna, Vicky, Mika sono spariti, tutti, ingoiati da una foschia peggiore della nebbia. Li rivedrò? Quanti dubbi, quante paure, tutto cambia, tutto peggiora, la vita una zattera sporca e rotta tra le salate e potenti onde di un mare agitato, tormentato a tal punto da far dimenticare, da rendere un’illusione, un sogno passato, le dolci acque tranquille e conosciute. Un mito la vita prima di ora, un mito le risate e i sorrisi, una leggenda agognata la libertà. Per ironia, ci si aggrappa, con le unghie e con i denti, con le mani scheletriche e i polsi gracili, con disperata violenza e determinazione, più a questo scarno surrogato di vita, fantasma sbiadito di giorni passati, incubo di infantili ricordi, che alla spensierata vita passata.                                                                                                                                                                               Chiudo gli occhi e… vedo disgrazie e fame, miseria e soprusi, prigionia e morte, giochi spietati e quotidianità mostruosa, la vita un filo aggrappato ad una parola, un monosillabo insensato. Qualcosa mi scherma la vista, lacrime forse, oppure ricordi pescati per addolcire la realtà, per rendere meno dolorosi i crampi allo stomaco e meno affilati i bastoni.                                                                                                                                           Perché? Perché tutto questo? Non lo so.                                                                            Chiudo gli occhi e… vedo tante persone, tutte diverse, tutte di diversa nazionalità, di diversa età, di diversa lingua e origine, con storie diverse, vite diverse, opinioni diverse, tutte accumunate in una sola parola… E no, non è “uomo”, ma è “ebreo”.                                                                                                       Chiudi gli occhi e… vedo il mio braccio accanto a quello della sorvegliante, li osservo meglio, ma alla fine rinuncio. Non la trovo, non trovo quella differenza all’origine della nostra prigionia e della loro libertà. La pelle è la stessa, sotto i vestiti e lo sporco, le ossa sono le stesse, il cuore è lo stesso… Chiudo gli occhi e… non vedo niente.                                                                              E’ finita, finita la mia vita, finita quella di tante persone, terminata in un battito di ciglia… Non so dire se è meglio che sia andata così… Forse, dopotutto, l’amavo ancora, amavo ancora la vita.