Gian Domenico Manfredi -Il giudice Livatino era un giudice siciliano ammazzato dalla mafia. Il giudice Livatino viene anche definito giudice ragazzino perché è stato il più giovane giudice mai esistito. Anche se giovane, capì a pieno il vero significato di Giustizia.
Sulla stele presente lungo la strada dove venne ucciso, la strada che collega Canicattì ad Agrigento è scritto “Rosario Livatino magistrato, martire della giustizia”.
Una qualsiasi persona leggendo tale frase e ascoltando al telegiornale che si vuole far diventare beato questo giudice, penserebbe che al giorno d’oggi si è unito il sacro col “profano” non è così! Martire è colui che è morto a causa di torture e atti brutali per difendere la sua fede in Dio, in questo caso, il giudice ragazzino viene definito “martire”, in primo luogo perché venne ucciso in quanto si oppose fortemente alle attività della mafia. Quindi Livatino è un martire perché muore per mano mafiosa, in quanto credeva vivamente che la mafia potesse essere fermata, così come i martiri religiosi credevano saldamente in Dio.
Conoscendo la storia del giudice salta all’occhio il suo credo. Cosa voglio dire? Rosario Livatino aveva una fede molto forte e ogni volta che apriva un nuovo caso chiedeva il supporto divino. Ed è proprio per questo che viene definito un uomo “santo”. «Oggi, dopo due anni, mi sono comunicato. Che il Signore mi protegga ed eviti che qualcosa di male venga da me ai miei genitori». Concordo con le scelte di Rosario Livatino, con la sua idea di giustizia. Questa non era: applicare le leggi, no. C’era l’empatia nel suo modo di giudicare perché è questo quello che fanno i giudici: giudicare se i comportamenti delle persone prese in causa sono corretti o no.
È questo che io ammiro in Livatino. Pensare come chi ha commesso l’atto, entrare nella sua mente e capire il perché di tali atteggiamenti. A mio avviso questo è Rosario Livatino magistrato, martire della giustizia.