//ROBOT: QUANDO LA FANTASCIENZA DIVENTA REALTÀ

ROBOT: QUANDO LA FANTASCIENZA DIVENTA REALTÀ

di | 2019-02-23T10:04:48+01:00 21-2-2019 9:13|Alboscuole|0 Commenti
  Federica Improda II D – L’etimologia del termine robot è da ricercare nella parola ceca robota, che significa “lavoro pesante”, a sua volta derivata dall’antico slavo ecclesiastico rabota, “servitù”; sta a indicare qualsiasi tipo di macchina, più o meno antropomorfa, in grado di svolgere – sia indipendentemente che no – un lavoro al posto dell’uomo. L’idea di persone artificiali risale almeno alla leggenda greca di Cadmo, il quale seppellì dei denti di drago che si trasformarono in soldati, e al mito di Pigmalione, la cui statua di Galatea prese vita grazie all’intervento di Afrodite. Sempre nella mitologia classica, il deforme dio del metallo (Vulcano o Efesto, a seconda se si segua la versione greca o romana) creò dei servi meccanici, mentre la tradizione ebraica ci parla del Golem, una statua di argilla animata dalla magia cabalistica. Nell’estremo Nord canadese e nella Groenlandia occidentale le leggende Inuit raccontano del Tupilaq (o Tupilak), un essere che può essere creato da uno stregone per dare la caccia e uccidere un nemico; tra le fredde nevi del Tibet, invece, troviamo il Tulpa, una creatura animata dal pensiero. Il primo progetto documentato di un robot umanoide risale al genio Leonardo da Vinci. Alcuni appunti dello scienziato, databili intorno al 1495, contengono disegni dettagliati per un cavaliere meccanico, che era apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella; il progetto era probabilmente basato sulle sue ricerche anatomiche registrate nell’Uomo vitruviano. Non si sa, però, se Leonardo tentò o meno di realizzarlo. Oggi i robot utilizzati – nei campi più vari e disparati – sono di fatto dei sistemi ibridi complessi costituiti da vari sottosistemi, ovvero da una parte hardware elettronica che regola o controlla una parte meccanica. Si possono catalogare i robot in due macro categorie: “autonomi”, caratterizzati dal fatto che operano in totale autonomia e indipendenza dall’intervento umano e possono prendere decisioni anche a fronte di eventi inaspettati, e “non autonomi”, i classici robot utilizzati per adempiere a specifici compiti che riescono ad assolvere in maniera più efficace dell’uomo.  Attualmente, un campo di grandi progressi è quello medico. Alcune società produttrici hanno ottenuto le necessarie autorizzazioni per poter far utilizzare i loro robot in operazioni chirurgiche dall’invasività minima; un settore affine, quello dell’automazione dell’attività di laboratorio analitico, vede robot da banco impegnati nelle attività routinarie di incubazione, manipolazione di campioni e analisi chimica e biochimica. Altri campi in cui è probabile che i robot sostituiscano il lavoro umano sono l’esplorazione del mare profondo e l’esplorazione spaziale. Un settore in pieno sviluppo è rappresentato anche dai sistemi per la manipolazione con ritorno di forza, le cosiddette interfacce aptiche. Con queste informazioni alla mano, considerato il notevole miglioramento apportato dai robot alla società contemporanea e immaginando cosa ci riserverà il futuro, è inevitabile pensare a ciò che Isaac Asimov, a cavallo tra il 1940 e il 1950, già esprimeva nella raccolta Io, Robot: la preoccupazione nei confronti di quella che ora chiamiamo “ribellione della macchina”, per controllare la quale Asimov enunciava le Tre Leggi della Robotica. Ancora oggi ogni macchina viene sottoposta al test di Turing – lo scienziato che dobbiamo ringraziare per l’invenzione del computer – per determinare se essa sia o meno in grado di pensare, e quindi se sia in possesso di vera intelligenza, cosa che potrebbe rappresentare un grave pericolo per la superiorità etica e intellettuale dell’uomo. Dallo smartphone con assistente vocale al drone per le riprese, dagli aspirapolvere automatici alle case domotiche, dai Replicanti di Blade Runner al dolcissimo Baymax di Big Hero 6, i sistemi robotici permeano ormai ogni aspetto della vita quotidiana. Mentre la ricerca va avanti e l’uomo si identifica sempre di più con la macchina – o forse è il contrario – a noi comuni mortali resta soltanto una cosa: la speranza che gli scenari ipotizzati dal Metropolis di Fritz Lang (del 1912!) e dai racconti di Asimov e Dick rimangano tali e non si trasformino in una realtà ostile alla sopravvivenza umana. Federica Improda II D