di Chiara Rufino – Il 15 settembre dell’anno scorso ho iniziato la scuola secondaria di primo grado. Avevo passato l’estate a pensare a come sarebbe stata la nuova classe, i nuovi insegnanti, le nuove materie, i nuovi compagni… promettendo a me stessa che sarebbe andato tutto bene. E così è stato: quella mattina, mi sono alzata alle 6,40, perché non sapevo ancora a che ora partisse il pullman, sono arrivata alla fermata alle 7,30. Tirai un sospiro di sollievo quando notai che sul pullman, oltre a me e mia sorella, c’erano anche alcune persone che conoscevo. Quando siamo arrivate, abbiamo aspettato che i nostri genitori arrivassero per accompagnarci nella palestra.
La palestra era enorme rispetto alla piccola sala dove ci allenavamo per recite o presentazioni da scuola primaria.
La preside iniziò a chiamare ogni alunno in ordine alfabetico, quando arrivò il mio turno, mi alzai e feci una piccola corsetta “imbarazzata” verso i nostri nuovi compagni di classe. La vicepreside intanto passava da una fila di colonna all’altra, dispensando tovaglioli di colore bianco, rosso e verde, pregando tutti di sventolarli durante il tragitto verso la propria aula. Quando arrivò il nostro turno, sventolai il fazzoletto incerta, mentre le nostre professoresse ci intimavano di smettere di guardarci intorno e di darci una mossa.
La nostra nuova aula si trovava al terzo piano e quindi, per arrivarci, abbiamo percorso tre rampe di scale. Arrivata in aula, mi sono seduta vicino a Carmen Rufino. Alla prima ora abbiamo fatto dei cartellini per ricordare ai professori i nostri nomi, e li abbiamo appoggiati sul banco. All’ultima ora, abbiamo giocato a pallacanestro.
Quando sono tornata a casa ho raccontato a mia madre del primo giorno di scuola.
È stata una giornata molto emozionante.