di NICOLO’ SANTI –
Hannah Baker (interpretata dalla quasi esordiente attrice australiana Katherine Langford, che fece il provino per questo ruolo solo per poter restare negli USA) si è tagliata i polsi ed è morta in una vasca da bagno a soli diciassette anni. Prima di compiere questo gesto, ha registrato sette cassette per walkman, nelle quali spiega i tredici motivi della sua scelta.
Le spedisce poi a Clay Jensen (Dylan Minnette, già premiato per il suo importante ruolo in Saving Grace, ma protagonista anche di diverse altre serie tv, tra cui Lost, Supernatural, Medium e Lie to me), uno dei ragazzi più popolari della scuola frequentata anche dall’aspirante suicida, il quale scoprirà di essere nella lista di quest’ultima.
Così comincia 13 Reasons Why, la serie tv americana ispirata al romanzo quasi omonimo di Jay Asher (il titolo è precisamente Thirteen Reasons Why) e prodotta, tra gli altri, anche dalla cantante Selena Gomez. La trasmissione ha debuttato sulla storica piattaforma Netflix, ottenendo un successo immediato e diventando la serie più vista al momento in poco più di un mese.
La vicenda è tutta concentrata sull’alternanza tra la voce di Clay e quella di Hannah, che parla, naturalmente, fuori campo, come capita a Mary Alice Young, un altro personaggio suicida che fa da voce narrante in Desperate Housewifes. Il contesto nel quale i personaggi si muovono è quello tipico dei teen drama, tanto che, come altri prodotti televisivi del genere (primo tra tutti, in età moderna almeno, Beverly Hills 90210), lo si potrebbe definire un romanzo di formazione, nel quale, come nella migliore delle tradizioni letterarie, sono trattati temi delicati come la violenza sessuale, l’ansia sociale, il bullismo.
In relazione a questo impegno per il “sociale”, è stato lanciato anche un documentario dal titolo Tredici, oltre i perché, dove i produttori, il cast e alcuni psicologi discutono proprio su questi stessi argomenti.
Pensata appunto per far riflettere, la serie non offre un punto di vista giudicante, ma solo problematiche senza soluzione: il punto interessante della trama è, infatti, il fatto che nessuno dei personaggi è mai pienamente colpevole, ma per le azioni che hanno commesso lo sono in realtà tutti quanti, nessuno escluso. Anche il mondo degli adulti ha le sue pecche: anzi, a giudicare dall’impostazione di Thirteen, è proprio la generazione più vecchia la peggiore. Gli sceneggiatori, infatti, la descrivono come se fosse completamente incapace di capire le emozioni dei giovani, in particolare Andy (il noto interprete di musical Brian D’Arcy James) e Olivia Baker (Kate Walsh, già famosa per aver interpretato la dottoressa Addison Montgomery in Grey’s Anatomy e nel gemello Private Practice), i genitori di Hannah.
Per ora la storia così come si è svolta per tutta la prima stagione non ci ha fornito le risposte esaurienti che avremmo voluto, ma almeno, nonostante l’uso di troppi stereotipi, è riuscita a far parlare di alcune problematiche attuali che affliggono gli adolescenti. Non è improbabile che la grande suspence, che hanno creato nello spettatore le prime (ovviamente tredici) puntate, non sarà facilmente bissata nei nuovi episodi.