“Il pronto soccorso non è la soluzione a stili di vita incivili”
Esordisce così il leader della Lega Matteo Salvini durante la manifestazione tenutasi la scorsa domenica presso il Palazzo dei Congressi dell’Eur a Roma.
Il segretario della Lega Nord ha manifestato la propria preoccupazione in merito alla questione dell’affollamento dei pronto soccorso e della sanità pubblica, ma le polemiche si scagliano soprattutto contro chi non è nato entro i confini italiani.
“Abbiamo avuto la segnalazione che alcune donne, nè di Roma nè di Milano” -ci tiene a specificare Salvini- “si sono presentate per la sesta volta al pronto soccorso di Milano per un’interruzione di gravidanza”.
Tralasciando la leggerezza con cui un politico sputa sentenze su un tema così delicato, il problema non sembra essere, agli occhi di Salvini, esclusivamente l’atto dell’aborto in sè, quanto la provenienza geografica di chi lo compie.
Il suo discorso, costruito sulla base di se e di ma, è un insulto alla libertà e all’autonomia di ogni donna, italiana o straniera che sia, e presenta svariate incongruenze con la legge italiana.
Innanzitutto, la legge 194 sancisce l’impossibilità di interrompere una gravidanza in pronto soccorso, in quanto la procedura, lunga e articolata, necessita di essere svolta in specifiche cliniche convenzionate.
Se a preoccupare il leader leghista è invece la nazionalità delle donne che scelgono di esercitare in Italia un diritto regolarmente previsto dalla legge, sarà confortante sapere che la 194 ha pensato anche a questo, permettendo alle donne straniere, seppur prive di permesso di soggiorno, di interrompere la gravidanza in completo anonimato, richiedendo uno specifico codice.
Il corpo di una donna non può e non deve essere oggetto di discussione, ciascuna deve sentirsi libera di scegliere per se stessa, senza condizionamenti o inibizioni alcuni.
È vero, l’aborto non è un metodo contraccettivo e le donne lo sanno bene: le pressioni psicologiche cui una donna viene sottoposta prima di effettuare la procedura sono notevoli.
Oltre alle numerose visite mediche, è necessario affrontare un colloquio con un esperto che si renda disponibile a chiarire possibili dubbi e verifichi che si stia compiendo una scelta consapevole. La pratica non verrà effettuata prima che siano trascorsi 7 giorni, per eventuali ripensamenti.
Legalizzare l’aborto non significa dimenticare i metodi contraccettivi ad oggi conosciuti, ma fornire alle donne la possibilità di scegliere in maniera sicura se la maternità sia qualcosa che sono nelle condizioni di affrontare.
Tutelare la vita significa garantire alle donne l’assistenza medica e psicologica necessaria sia per interrompere che per portare avanti una gravidanza.
Tutelare la vita significa combattere perchè a ciascuno sia concesso il diritto di scegliere.