Manuela Vinario – Il titolo di questo articolo racchiude in sé tutta l’intensità della storia che intende raccontare e ci fa entrare subito dentro una vicenda disastrosa e dolorosa, da cui però ha inizio, per così dire, “il sogno” di don Giuseppe Diana. Don Diana, detto Don Peppì dai suoi compaesani, nasce il 4 luglio 1958 a Casal di Principe, uno dei paesi dell’hinterland di Caserta, già tristemente noto per lo spietato dominio della camorra e che vede poco a poco nascere uno dei suoi clan più crudeli, quello dei Casalesi. Giuseppe Diana, profondamente convinto della buona natura dell’uomo, si mobilita fin da subito per salvare i giovani del suo paese da un terribile nemico: l’omertà, che forse rappresenta la più grande piaga di questi territori in cui sembra non brillare alcuna luce. Mentre segue in seminario, a Napoli, i suoi studi, al termine dei quali si laurea in teologia e filosofia, si impegna anche nei gruppi scouts; infine, dopo un periodo di indecisioni, diventa Don Diana, parroco della chiesa di San Nicola di Bari di Casal di Principe; come sacerdote, il suo primo obiettivo è quello di custodire ciò che di giusto e onesto c’è nel suo paese, che egli ama allo stremo. Prima come scout e poi come sacerdote, Giuseppe Diana, con il suo carattere deciso e coinvolgente, riesce a creare con il tempo una solida realtà di giovani, uomini e donne che combattono i soprusi della mafia. Scrittore e autore di numerosi articoli di giornale, il suo testo più famoso è “Per amore del mio popolo”, una lettera diffusasi nel 1991 in tutto l’Aversano come documento di impegno contro la criminalità. Il suo sogno, quello di vedere la sua città libera, sembra finire la mattina del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, nella chiesa dove doveva celebrare la messa: cinque proiettili in faccia, sparati da un uomo che nemmeno lo conosceva. A morire con lui, però, non sono stati i suoi ideali: la battaglia di Don Peppino non è stata abbandonata, ma anzi sembra quasi che, con la sua morte, si sia rafforzata. Le parole di Don Diana negli anni hanno appiccato un fuoco che non si è spento con la violenza che lo ha colpito e che non si spegnerà facilmente. Questa sua passione è stata pienamente trasmessa nello spettacolo tenutosi a Formia, al teatro Remigio Paone, il 23 marzo, dove una compagnia di attori, nati nel napoletano, ha messo in scena un commovente ricordo della tragedia di Don Peppino. Nella pièce il sacerdote di Casal di Principe è stato rappresentato come un uomo: un uomo semplice, spaventato e preoccupato non solo per se stesso, ma anche per la gente del suo paese, che però ha avuto il coraggio di andare avanti per regalare ai giovani un futuro migliore di quello mafioso. Il corpo di Don Peppino morto, al termine dello spettacolo, è stato ricoperto di fiori dagli stessi criminali che lo avevano ucciso e questa è forse stata una delle scene più belle, paradossalmente, perché ha suggerito che la forza e la bontà di Don Diana hanno saputo far passare dalla parte del bene anche i suoi stessi assassini. Un uomo che diventa un eroe: ogni personaggio si è trasformato in un simbolo, chi di una realtà chi di un’altra, ma ciò che ha colpito di più gli spettatori è stata la capacità di interpretare al meglio e con dedizione e passione una storia che sembrava essere fatta solo di violenza, e invece è fatta anche di amore e solidarietà, quella che non ha mai abbandonato Don Peppino. La storia di Don Giuseppe Diana è iniziata il 19 marzo 1994 e terminerà soltanto quando ogni giusto o ogni criminale urlerà: “Per amore del mio popolo, non tacerò”.