“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” così recita l’articolo 27 della Costituzione italiana.
Ma è realmente così?
Ad oggi carenza di personale, sovraffollamento e suicidi sono gli elementi che caratterizzano la situazione delle carceri italiane. Il problema del sovraffollamento rappresenta senza ombra di dubbio la principale criticità del nostro sistema penitenziario: basti pensare che ci sono diecimila i detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Nella casa Circondariale “Regina Coeli” di Roma, a fine gennaio 2024, la situazione era ben più precaria: i detenuti erano 1.099 a fronte dei 611 posti disponibili. Ma purtroppo quello di Roma non è un caso isolato ma è solo uno dei tanti. Da non sottovalutare è la carenza di personale di polizia e degli altri ruoli dell’amministrazione penitenziaria: attualmente il personale in servizio è inferiore di 5000 unità rispetto all’organico previsto. *
È evidente che: “In queste condizioni non è possibile alcuna attività tesa al reinserimento sociale del detenuto” così come dichiarato dalla società Antigone, l’organismo per i diritti e le garanzie nel sistema penale.
Ad ostacolare ancor di più l’obiettivo del reinserimento dei detenuti vi sono le torture commesse dagli agenti penitenziari, l’ultimo episodio si è verificato a Milano, nel carcere minorile Beccaria. Tredici sono gli agenti penitenziari che hanno ricevuto un’ordinanza di custodia cautelare, mentre per altri otto è stata disposta la sospensione dall’esercizio delle loro funzioni. Sono stati accusati di maltrattamenti, lesioni, tortura e tentata violenza sessuale. Le testimonianze riportate dalle vittime sono a dir poco aberranti: “Sono arrivati sette agenti, mi hanno messo le manette e hanno cominciato a colpirmi” “Vedevo tutto nero. L’ultima cosa che mi ricordo è che mi sputavano addosso. Dopo mi hanno sollevato così, da dietro, dalle manette” racconta uno dei ragazzi detenuti. Nell’ordinanza d’arresto la gip Stefania Donadeo ha affermato che le violenze inflitte nel carcere sono una pratica reiterata e sistematica che ha determinato il crearsi di un clima infernale, nel quale punire, umiliare e torturare era diventato del tutto normale .
A questa situazione già molto complessa si aggiunge il dramma dei suicidi: dall’inizio dell’anno sono 29 i detenuti che si sono tolti la vita, uno ogni 3 giorni; sfortunatamente ci sono tutti i presupposti per far si che al 2024 venga assegnato il titolo di “anno nero” per le strutture penitenziarie. In merito a questa drammatica situazione, il capo dello Stato, Sergio Mattarella, poco più di un mese fa ricevendo la Polizia penitenziaria ha asserito che: “i suicidi in carcere sono un problema da affrontare immediatamente e con urgenza”
Alla luce di questo sembra quasi che quanto teorizzato in maniera lungimirante da Cesare Beccaria nel lontano 1764, sia stato del tutto dimenticato. Beccaria infatti nei “Dei delitti e delle pene” afferma che le pene devono essere rieducative e quindi non repressive affinché si possa garantire l’integrazione del reo pentito. Pertanto l’obiettivo delle pene è di dissuadere gli uomini dal commettere reati in modo da assicurare una pace sociale, una situazione naturalmente irraggiungibile se lo Stato ricorre alla pratica della tortura o addirittura alla pena di morte, considerate da Beccaria inutili e atroci sofferenze che potrebbero essere inflitte ad innocenti.
Inoltre secondo un altro importante illuminista, Voltaire, il grado di civiltà di una Nazione si misura dalla condizione delle sue carceri, e se dovessimo misurare la civiltà dell’Italia in base alle sue carceri non verrebbe fuori una fotografia bellissima del nostro paese, anzi.
Ciò che è certo è che davanti a tutto questo non si può scegliere la strada dell’indifferenza ma al contrario c’è l’obbligo morale e politico di intervenire affinchè il sistema penitenziario italiano possa essere migliorato e pertanto rispettare quanto sancito dall’art. 27 cost.
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