Ringraziamo il Direttore Maria Donato Iannantuono per l’opportunità concessa ai ragazzi del “San Benedetto” di fare una concreta esperienza di Cittadinanza e Costituzione mediante il contatto diretto con la realtà carceraria della Casa Circondariale di Velletri. Per gli studenti si è trattato di un momento emotivamente forte ma anche dalla profonda valenza educativa. Un’occasione vera di riflessione e di analisi della realtà, volta a stimolare l’acquisizione di competenze e comportamenti di “cittadinanza attiva”, ispirati ai valori della solidarietà, della legalità, della responsabilità. I nostri ringraziamenti vanno a tutto il personale della Casa Circondariale e ai professori che operano con grande competenza e passione all’interno della struttura come docenti dell’Istituto Agrario. In particolare il prof Antonino Marrari, vero ispiratore dell’incontro formativo, il professore Umberto Morelli e la professoressa Chiara Paparelli. Tutti ci hanno accolto con grande professionalità e umanità.
di DENIS XHELILAJ – 27 Maggio 2019. Sdraiato sul mio letto, sento il suono della Tv, c’è un grande classico, Pinocchio. Chiuso in cella dice: “Lo merito! Il Grillo me l’aveva detto ma io sono un burattino testardo e piccoso. D’ora in poi farò il bravo, cambio vita, sarò onesto e a modo, voglio studiare e lavorare”.
E Lucignolo gli risponde: “Bravo grullo! T’hanno domato, eh Burattino?”.
Da quelle parole capisco che è proprio grazie a Pinocchio, grazie all’educazione di mia madre e grazie all’esperienza che comprendo perché il carcere non è un posto per le bestie ma nemmeno il paradiso, è per ragazzi che come Pinocchio hanno perso i loro obiettivi e si sono ritrovati in circostanze troppo grosse per le loro spalle.
28 Maggio 2019, ore 9:00. Casa circondariale di Velletri. Depositati telefoni e documenti, otteniamo il pass e entriamo. A me tocca il numero 117. Ad attenderci c’è il Capo della sicurezza, lo stesso ci mostra l’enorme e scura porta metallica che fa da cordone ombelicale per l’ingresso dei futuri detenuti nella zona interna. Ad accoglierci c’è il Direttore Maria Donato Iannantuono che ci dà un cordiale benvenuto e risponde a tutte le nostre domande. Una donna di grande forza morale e profonda umanità. Quindi, in uno spazio che dà vita a molte riflessioni, ci riceve la dott.ssa Sabrina Falcone, Responsabile Area Giuridico Pedagogica della Casa circondariale. Con lei la dott.ssa Fabiola Elia, psicologa presso la struttura. Ma ovviamente il pensiero fisso è quello di entrare all’interno del carcere. Ed ecco finalmente il piccolo tunnel che ci conduce nel ventre dell’edificio. Da lì in poi le porte che ci lasciamo alle spalle vengono chiuse, nulla entra, nulla esce sfuggendo all’occhio della sorveglianza. Voltandomi vedo l’unica cosa che non ci si aspetta di vedere in un carcere, le serre. Serre curate dagli stessi detenuti che si impegnano a lavorare il terreno e a piantare verdure di tutti i tipi. Vedere quel verde in quel posto dà un forte senso di speranza, è una dimostrazione che la vita c’è anche in luoghi che crediamo senz’anima. Oltre a questi profumi a far dimenticare il posto dove ti trovi vi sono i sorrisi degli stessi detenuti-lavoratori che tutto trasmettono tranne che sofferenza. La zona più buia la visitiamo dopo l’incontro con il Comandante Maria Luisa Abossida, ex avvocato che conosce bene il suo lavoro e dà l’idea di una forte determinatezza. Entrando nella palazzina delle celle, volendola chiamare così, mi sento per un attimo troppo stretto solo a pensare che chi entra lì ha lasciato fuori la propria libertà. Mi reputo fortunato ad essere in quel luogo solo di passaggio. Per me la libertà ha preso le sembianze del filo di Arianna che permise a Teseo di ritrovare la via fuori dal labirinto del Minotauro. Così la mia libertà diventa un’ancora nelle sbarre della porta e non si stacca più, permettendomi poi di ritrovare l’uscita. All’interno di un’aula incontriamo dei ragazzi di età diversa che stanno scontando la loro pena, pentiti di ciò che hanno fatto. È fatta! Ho di fronte i veri criminali! Eppure non vedo altro che un fratello, un padre, un cugino, uno zio. Non vedo altro che persone che sì, hanno sbagliato ma diversamente da molti altri hanno deciso di cambiare, hanno sfruttato la loro permanenza in quel luogo per riflettere su come ci sono arrivati, su come vivere onestamente una volta usciti. C’è chi si mostra entusiasta di quel poco che ha e chi invece sente la necessità di stare con i propri familiari. Ma una cosa accomuna tutti, sanno che l’unico modo per uscire da quell’oscurità che li ha costretti a commettere reati è quello di studiare, di acculturarsi e di faticare per le cose che vogliono.
Al termine della giornata seguo il mio filo di libertà ed esco da quel posto con un’idea molto diversa di quelle persone e spero con un’incosciente consapevolezza della realtà anche in un luogo senza libertà.