Di Elena Carbutti – classe III, sez. L
“Sono morte altre persone, contagiate dal virus”, “Oggi il numero dei contagi è salito a…” Sono frasi che si sentono almeno una volta al giorno, i telegiornali non mancano di enunciarle. E’ vero, questo virus è spietato e terribile, condiziona in maniera irreparabile e irreversibile le nostre vite da più di un anno… tuttavia non è il nostro unico nemico. Certo è il più nominato in questo periodo, però dietro di lui si annidano ancora, mai sopiti, altrettanto temibili avversari, che hanno nel Covid e nell’allarme che ha diffuso un potente alleato. Ora tutti i morti sono dovuti al Coronavirus, tutti i laboratori sono impegnati nella ricerca della cura per il Coronavirus, tutti i medici sono impegnati nella battaglia contro di lui… E il cancro, il tumore, tutte le altre malattie? Continuano ad esistere, continuano a rubare vite, mentre noi inermi siamo bloccati, fermi in questo istante infinito, in questo tempo sospeso. Una delle piaghe dell’umanità è sempre stato il cancro, anche detto tumore maligno, che miete vittime quanto il Coronavirus, semplicemente non è contagioso e, nonostante sia conosciuto da così tanto tempo, è ancora libero di agire incontrastato. Non esiste ancora una cura per il tumore, solo metodi per allungarti la vita e l’agonia in cui ormai si è trasformata, di qualche altra ora, giorno, mese, anno se sei fortunato. Il cancro è provocato da cellule “ingorde”, che si sviluppano fuori controllo, diffondendosi in tutto il corpo. In questo periodo ci si è dimenticati di tutte le altre malattie, all’infuori del Covid, e, per mia sfortuna, io me ne sono ricordata nella maniera peggiore. Il cancro ci è letteralmente caduto “tra capo e collo”, impedendoci di reagire. Nemmeno due mesi fa, mio zio è andato all’ospedale, e ieri abbiamo presenziato al suo funerale. E’ accaduto tutto ad una rapidità sconvolgente, non abbiamo avuto nemmeno il tempo di reagire. Nessun segnale, niente, solo un semplice mal di pancia. Un semplice, banalissimo, stupido, mal di pancia, che si è rivelato essere un tumore al fegato e al pancreas molto aggressivo in stato avanzato. Chi l’avrebbe detto, no? Non mi ero mai fermata seriamente a riflettere a quanto potesse essere brutto perdere una persona amata e ora mi ci trovo a fare i conti, senza nemmeno aver ancora accettato che era malato. Quando ti dicono che è morto qualcuno che conosci dici “Quanto mi dispiace”, “Poveretto”, vai al suo funerale, stai anche male se ci eri davvero legato, ma poi torni alla tua vita, torni dalle persone che ami, torni nella tua casa, con i tuoi impegni e le tue risate… Provi compassione, ma nient’altro, perché in fondo forse sei anche sollevato di non essere tu la donna che piange davanti alla bara, il ragazzo che legge un elogio, la madre che dà un ultimo saluto al figlio. Pensi di sapere cosa provano, di poterlo intuire, invece non lo capisci fin quando non lo vivi. Non abbiamo visto zio Manu per un mese, l’avevano ricoverato ad Acquaviva, in un ospedale specializzato. Quando è ritornato a casa, non l’abbiamo quasi riconosciuto, così pallido e magro, così diverso dall’uomo forte, vivace e volenteroso che conoscevamo fin dalla nascita. Poi, sembrava riprendersi, stare bene o almeno così ci diceva ogni volta che andavamo da lui. E poi quella chiamata di 4 giorni fa, una chiamata di pochi secondi, una chiamata che mi era arrivata la sera, verso le otto, una chiamata che ha vergato la parola fine ad una vita. Quando sono arrivata a casa, bè tutto era cambiato. Sentivo terribilmente freddo e la nonna piangeva, Marco era in camera, in silenzio, con Claudia, papà fuori, e mamma immobile. Il lutto è pianto, è dolore, è silenzio. Salii nella camera di zio… Era immobile, sembrava dormisse, sembrava sereno. Avrei voluto avvicinarmi e scrollarlo, scrollarlo fin quando non si fosse svegliato, anche se mi avesse rimproverata, volevo che si tirasse la coperta sul viso e ci dicesse di andare via perché voleva dormire. Il petto non si abbassava, lui era immobile. Era dolorosissimo, come se mi stessero strozzando, qualcosa mi impediva di respirare. C’era tanto silenzio, in camera, contrapposto all’Inferno che regnava in soggiorno. Zia Isa non piangeva, ma sembrava che non provasse niente, era ghiacciata, congelata; mentre zia Cinzia piangeva, singhiozzava come un animale ferito, ripiegata su sé stessa. Non l’avevo mai vista piangere. Zia era sempre forte, non piangeva mai, mai nei tredici anni che la conosco, l’ho mai vista piangere, a prescindere da quanto la situazione fosse grave. Che brutto. Ci furono tanti abbracci, persone che non conoscevo, nessuno diceva niente, ma d’altronde che si può dire in una situazione del genere? Mi chiesi “Perché? Perché proprio lui, perché proprio noi?” Ma talvolta non ci sono “perché”, forse era talmente buono che Dio lo aveva voluto con sé, forse dovremmo solo ringraziare il tempo che abbiamo avuto a disposizione, perché abbiamo potuto condividere gran parte delle nostre esperienze con una persona fantastica. Zio Manù, lo era davvero, la migliore persona che abbia mai conosciuto, sempre pronto ad aiutare gli altri, a scherzare, a dare una mano, a chiunque, ad occuparci di noi. Ci adorava, adorava i suoi nipoti, me, Marco e Claudia. Per noi è stato un secondo padre, è stato un abbraccio sempre tenero e confortevole, un consiglio sempre disponibile, un abbraccio amorevole, un’assoluzione per qualsiasi marachella, una carezza gentile, una battuta ironica. Ci ripeteva sempre “tenere fuori dalle mani dei bambini”, frapponendosi tra noi e qualsiasi pericolo. Ha organizzato lui, con zia Isa, tutte le nostre feste di compleanno ed era con lui che passavamo le interminabili giornate estive. C’è una poesia di Primo Levi, “Agli Amici”, in cui vi è la frase “Di noi ciascuno reca l’impronta dell’amico incontrato per via in ognuno la traccia di ognuno”, con cui il poeta afferma che ognuno di noi porta l’impronta, il segno di una persona conosciuta o anche incontrata per caso, pertanto come possiamo noi non recare l’impronta di una presenza fondamentale che ci ha accompagnato fin dalla nascita? Non possiamo. Vedo zio Manù negli occhi di Marco, nelle abitudini di zia Cinzia, nel viso di zia Isa, nello sguardo della nonna, nella voce di papà, nel modo di socchiudere gli occhi di mamma, nei miei ricordi. La morte, è vero, toglie tanto, ma non può toccare i ricordi e i sentimenti, e pertanto non può uccidere: zio continua a vivere in noi, e così sarà per sempre, zio è una linea nitida sul palmo della mano, dove si dice che sia scritto il nostro destino. Non so perché ho iniziato a scrivere questo articolo, forse per sfogarmi, ma so perché ho continuato a redigerlo: mi sembra giusto, fargli un piccolo omaggio, dedicargli un paio di pagine, un po’ di parole, renderlo il protagonista di uno degli articoli che lui non mancava mai di leggere; è sempre poco, non si può esprimere con le parole tutto ciò che ha significato per noi, è impossibile, tuttavia ho provato a farlo, dovevo provarci; inoltre voglio far sapere a tutti che bella persona è stata, che magnifico zio è stato, che presenza indispensabile è nella nostra vita e che dolce ricordo sarà per sempre nei nostri cuori.