La disciplina del restauro nasce alla fine dell’800 assieme a gran parte della disciplina architettonica moderna.
In questi anni, al limite tra riforma e fantastico, operano i padri del restauro: in Inghilterra, John Ruskin; in Francia, Eugene Viollet-le-Duc; e in Italia, Camillo Boito.
Viollet-le-Duc concepiva il restauro come una ricostruzione ideale dell’opera, talvolta anche migliorativa rispetto al passato. Di contro, John Ruskin si opponeva a qualsiasi tipo di restauro che alterasse l’originalità dell’opera, sostenendo che le rovine e il decadimento naturale rappresentassero una parte essenziale della storia di un edificio.
Camillo Boito, in Italia, cercò un compromesso tra queste visioni, proponendo interventi che distinguessero chiaramente il nuovo dall’antico, come dimostrato nel restauro della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano.
All’inizio del XX secolo, Gustavo Giovannoni introdusse un nuovo approccio nel restauro architettonico, riconoscendo l’importanza del contesto urbano e della conservazione delle stratificazioni storiche di un edificio. Egli fu tra i primi a parlare di conservazione integrata, un concetto che avrebbe avuto grande influenza nel dibattito internazionale.
Roberto Pane, invece, si contraddistinse per un approccio profondamente umanistico e innovativo, che tuttavia seguiva le orme di Giovannoni. Architetto e storico dell’arte, Pane riteneva che il restauro dovesse considerare il monumento non come un oggetto isolato, ma come un elemento inscindibile dal paesaggio e dalla società in cui era inserito.
Questi contributi prepararono il terreno per il dibattito internazionale che culminò nella Carta di Atene del 1931, un documento fondamentale per la nascita della moderna conservazione del patrimonio, dove si pose l’accento sull’importanza della salvaguardia integrale dei monumenti, evitando interventi eccessivi e rispettando la loro autenticità storica. La Carta di Atene rappresentò una svolta, promuovendo una visione globale della conservazione, che non riguardava solo il singolo edificio, ma l’intero contesto urbano e paesaggistico.
Il restauro a Notre-Dame
il caso di Notre-Dame di Parigi, a seguito del devastante incendio che ha danneggiato le capriate lignee del tetto e la flèche ottocentesca, rappresenta un esempio emblematico delle sfide del restauro contemporaneo Gli sforzi per ricostruire la guglia crollata si sono basati sull’uso di materiali e di tecniche costruttive antiche, secondo la teoria del Restauro Filologico ottocentesca di Boito, tanto che la nota rivista Domus scrive:
“Riapre Notre-Dame: è tutto come prima, ma non il design. Il restauro è stato così filologico che si è spinto a impiegare materiali a rischio tossico e a utilizzare vecchie tecniche costruttive. Solo i progetti di arredi e paramenti cambiano il volto della consuetudine.”
Questo intervento riflette la volontà di mantenere il valore storico e simbolico della cattedrale, evitando qualsiasi falsificazione stilistica o anacronismo. Notre-Dame, pur ricostruita, non è una mera replica del passato, ma un dialogo tra storia e contemporaneità, dove ogni intervento racconta il tempo presente. Il restauro diventa così un atto di responsabilità culturale, non solo verso il monumento, ma anche verso la comunità globale che lo considera patrimonio condiviso.
L’esempio di Notre-Dame mostra come la teoria di Boito rimanga un pilastro nelle pratiche di restauro contemporanee, dimostrando che rispettare il passato non significa congelarlo, ma renderlo vivo e significativo anche per le generazioni future.
Simone FRIGIOLA