La mattinata del 18 febbraio 2020 ha visto protagonista l’aula magna del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Foggia, teatro del coinvolgente discorso del Generale Giuseppe Governale, attuale Comandante del ROS e Direttore della DIA.
Dopo i saluti istituzionali del sindaco di Foggia Franco Landella e del nuovo Rettore Pierpaolo Limone la parola è stata offerta al Generale che subito si è scusato con tutti i presenti in aula, sostenendo di essere lì unicamente per i ragazzi, quali principali destinatari di una conoscenza utile ad affrontare un problema tanto avvertito quanto poco denunciato. L’ospite si è altresì spogliato delle sue cariche militari, parlando al pubblico da semplice cittadino di Palermo, come egli stesso ha definito il giudice Falcone in segno di grande rispetto e di una mentalità che deve essere oggetto di emulazione tra i giovani.
L’intero discorso si è articolato attorno a due direttrici principali.
La prima riguarda l’effettiva assenza dello Stato, pur un lungo periodo, nella lotta alla mafia, un fenomeno esistente da moltissimo tempo, ma che è stato ignorato per altrettanto tempo. “La mafia non esiste” sono le parole contro cui il Generale si schiera fermamente, il frutto di una mentalità condivisa per molto tempo da gruppi sociali e politici, come dimostra la stessa difficoltà dell’introduzione nel codice Rocco dell’articolo 416 bis. Soltanto negli anni 90 la lotta alla criminalità di stampo mafioso è diventata un fenomeno tangibile, che necessita di opere credibili. Quest’ultime non sono soltanto la causa di una maggiore fiducia del popolo nelle istituzioni ma anche l’inevitabile consapevolezza che qualcosa si muove, in ambito cittadino, come l’apertura della sezione della DIA, e nazionale.
Il secondo punto focale del discorso ha riguardato il motivo per cui la mafia, generalmente intesa, nel corso degli anni si è tanto consolidata e non è stata ancora sconfitta, non considerando l’assenza dello Stato fino agli anni 90. Se le istituzioni italiane e i reparti delle forze dell’ordine operano con enorme professionalità e dispongono di immensa tecnologia, la mafia è più carente in questi elementi ma dispone della componente più importante, che il Generale individua nel sentimento, nella motivazione, nell’elemento psicologico.
Ciò è in gran parte frutto della fiducia nelle tradizioni che gli stessi adepti di tali organizzazioni criminali presentano, cosa che non si presenta in ambito statale dove la stessa soppressione di strutture o il loro accorpamento potrebbe non avere differenze su un piano pratico, ma sicuramente ne ha sul piano dei valori, posto che in tal modo si perde la possibilità di identificazione della stessa struttura.
Proprio la mancanza di questo elemento psicologico nelle istituzioni non ha permesso allo Stato di sconfiggere la mafia in tempi brevi e ha portato, oggi, alla necessità di un maggiore scuotimento sociale e morale.
Da questa seconda direttrice si apre la conclusione del breve ma intenso discorso, identificabile con il bisogno di modificare la mentalità sociale. “Non bisogna chiedere ciò che spetta per diritto”, le parole cruciali per muovere la coscienza sociale, soprattutto giovanile. A nessuno viene chiesto di combattere la mafia, questo è lavoro dello stato e delle istituzioni, ma ciò non significa restare a guardare. Le piccole azioni che vengono richieste a tutti sono di cambiare il modo di agire e pensare, denunciare, parlarne e coinvolgere il prossimo. Si può convenire che questo significa far poco, ma è comunque qualcosa, e anche dal piccolo si possono cogliere dei frutti.