di Daniele Lezzi- Era una mattina d’inverno fredda e nuvolosa, di quelle che si dovrebbero trascorrere chiusi dentro casa, seduti sul divano sotto un caldo plaid, davanti ad un bel camino acceso. Ma Sara era lì, come ogni domenica, a passeggiare sulla spiaggia insieme ai suoi genitori, con i suoi ricci capelli bianchi e gli occhi chiari, persi in quella sterminata distesa di acqua grigio-azzurra, il cui rumore la coccolava, facendola sentire meno sola.
Ultimamente si sentiva tanto sola, qualcosa si era rotto dentro di lei, un pensiero la tormentava, privandola di quella spensieratezza tipica della sua età.
Ecco perché Sara amava andare al mare, per affidare quei tristi pensieri alle sue onde, che prendevano la rincorsa e si scaraventavano sugli scogli. Il malessere e il disagio che stava vivendo, in quel luogo sembravano quasi sparire, come le scritte sulla sabbia che il mare puntualmente cancella. Il dialogo muto che lei intratteneva con il suo amico mare la faceva sentire meglio. Ammirava il coraggio di quelle onde che quasi prendevano a schiaffi quei pensieri negativi, cancellandoli del tutto dalla sua mente.
Un giorno, però, si accorse che ciò non era abbastanza, che il suo stare bene era soltanto temporaneo. La situazione si era fatta complicata e più grande di lei.
Anche i genitori si erano accorti che c’era qualcosa che non andava. Era diventata silenziosa, triste, mangiava poco, aveva perso l’entusiasmo di andare a scuola e di uscire con i suoi amici.
Sara era una ragazzina di 12 anni, affetta da una particolare e rara condizione genetica: l’albinismo. A scuola era stata ben accolta da sempre, anche se l’insistenza di certi sguardi non era mai mancata.
Ma da qualche tempo un gruppetto di compagni aveva iniziato a prenderla di mira: la sera si riunivano in una casa e stabilivano il testo di messaggi da inviarle di notte, sui gruppi di whatsapp e su Instagram.
“Riccia bianca ci fai schifo, muori!”, “Riccia bianca, sembri un fantasma!”, “Riccia bianca, sei una mozzarella!”, “Riccia bianca, e vai un po’ al mare, così diventi nera!”, “Io sono scura, ma tu non lo diventerai mai!”, questi e altri i messaggi che Sara riceveva, insieme a foto che ritraevano animali nella sua stessa condizione.
Tutto ciò era davvero pesante da sopportare. Ogni volta che si guardava allo specchio, nelle sue orecchie sentiva l’eco di quegli insulti e delle risate che scatenavano.
Una domenica prese finalmente una decisione. Non avendo il coraggio di confidarsi con i suoi genitori, né tanto meno con i professori o con le sue amiche, decise di scrivere un messaggio e di arrotolarlo dentro una bottiglia. Sara andò come sempre in spiaggia con i suoi genitori, e in un momento di distrazione dei suoi, lanciò la bottiglia nel mare, affidando concretamente la sua storia alle onde.
Sapeva che questo espediente poteva fallire, chissà se la bottiglia sarebbe mai stata ritrovata e chissà se sarebbe caduta nelle mani giuste. Ma soprattutto chissà se questa risposta sarebbe arrivata subito o troppo tardi.
Passò l’inverno, arrivò la festa di colori della primavera, ma nulla era cambiato. Sara continuava a ricevere quei messaggi e la sua autostima era ormai quasi irrimediabilmente compromessa.
Un giorno di fine giugno, mentre mi trovavo su un’imbarcazione per un’escursione con la mia famiglia, ci fermammo nei pressi di una grotta per fare il bagno.
Con la maschera mi diressi verso la grotta e, all’improvviso, in mezzo agli scogli, vidi una bottiglia galleggiare. Vedere una bottiglia nel mare sicuramente non è una novità, ma sentivo che quella bottiglia conteneva qualcosa di speciale. Salii subito sulla barca ed estrassi con cautela (per evitare di bagnarlo) un foglio arrotolato. Così, davanti ai miei genitori, ne lessi il contenuto.
“Caro amico mare, oggi finalmente ho deciso di scrivere e affidare a te un messaggio, con la speranza che qualcuno mi aiuti. Non sono una naufraga nel mare, ma rischio di annegare sulla terra, in balia di onde cattive che mi hanno tolto la serenità.
“Mi chiamo Sara …, ho 12 anni e sono albina. Indosso sempre occhiali con lenti colorate e con protezioni laterali scure, e un cappello con visiera scura. Questi accessori, come il colore bianco dei miei capelli e delle mie ciglia, fanno di me una marziana agli occhi dei miei coetanei, che spesso infieriscono contro di me, bombardandomi di messaggi vergognosi.
Non ho scelto di essere albina e non sono diversa dagli altri. Anche io sono un’adolescente con passioni, sogni e tanta voglia di vivere. Frequento il secondo anno della scuola media di … e spero tanto che questo messaggio venga letto da qualcuno che mi dia il coraggio di denunciare ciò che sto vivendo.”
Questa storia colpì tutti noi, e convinti che bisognasse fare qualcosa per quella mia coetanea, inviammo il testo di questo messaggio al giornale locale.
“MESSAGGIO IN BOTTIGLIA: QUANDO UNA STORIA DI CYBERBULLISMO E’ AFFIDATA ALLE ONDE”. La risonanza che ebbe l’articolo fu davvero tanta. La polizia postale si interessò al caso e, dopo varie ricerche, riuscì a rintracciare Sara e la sua famiglia e a risalire all’identità dei mittenti del messaggio. Le conseguenze per i bulli furono molto dure.
In un’intervista Sara disse: “Io oggi non ho più paura dei miei bulli e sto bene per il semplice fatto di essere unica e irripetibile, proprio come ognuno di voi!”
Una storia, questa che vi ho narrato, a lieto fine, una storia che ha un sapore a metà tra il fantastico e il” salato”.
Nella realtà di tutti i giorni però, queste storie spesso hanno un brutto epilogo: le vittime preferiscono “annegare” e togliersi la vita, perché non trovano il coraggio di parlarne con gli adulti. So bene che ciò non è facile, ma è davvero importante parlarne con qualcuno, che siano genitori, zii, fratelli più grandi o insegnanti. Per quanto mi riguarda, ho avuto occasione di proteggere e dare dei consigli a qualche mio amico, vittima di bullismo, convinto che, a questo male, ci si debba opporre con tutte le forze!