La cena era il pasto più importante degli Antichi Romani: cominciava già alle 4 del pomeriggio, sia a causa dell’assenza di elettricità e quindi di illuminazione, sia per la durata dei banchetti fino a tarda notte.
C’è una salsa che non poteva mancare sulla tavola di Romani e di cui praticamente tutti erano ghiotti, il garum, un must gastronomico.
Se si volesse paragonare il garum a qualcosa che è diffuso anche oggi si potrebbe fare riferimento al ketchup e alla maionese dei fast-food, o, meglio, alla colatura di alici di Cetara, che sembra una sua diretta discendente.
In effetti, il Tarim era una salsa rara e costosa allo stesso tempo, dunque gli storici l’hanno spesso accostata a un prodotto tipico come l’aceto balsamico. Per ottenere il garum si partiva da interiora di pesce oppure dal pesce intero che veniva lasciato macerare sotto sale per un tempo abbastanza lungo in un’apposita salamoia. Le fasi successive di preparazione prevedevano il passaggio delle interiora attraverso dei setacci, al fine di crearne diverse varianti. L’odore non era per nulla invitante, tanto è vero che il miele e il mosto fresco servivano proprio per renderlo sopportabile.
Per quanto riguarda l’odore, alcune persone hanno provato a ricrearlo al giorno d’oggi e hanno parlato di qualcosa di simile alla pasta d’acciughe. Per la conservazione si utilizzavano invece delle piccole anfore. La qualità più costosa era senza dubbio quella “flos floris”, il cui colore scuro era dovuto alla presenza di sangue di tonno. Inoltre, il garum era fondamentale come sostituto del sale e per cuocere funghi, uova, carne e tartufi.
Parecchia cacciagione, poi, veniva accompagnata dalla salsa, resa più dolce dal miele, dall’aceto e da alcune erbe. Il garum non è sparito immediatamente e ancora nel ‘500 ci sono testimonianze del suo utilizzo in Francia. Oggi esiste una salsa che può definirsi la vera discendente della ghiottoneria per eccellenza dei Romani, la salsa nuoc-mam che è originaria del Vietnam e che è ricca di vitamina A.